La popolazione dell’Iowa rappresenta l’1% della popolazione degli Stati Uniti, la maggior parte del suo territorio (quasi la metà dell’Italia) è costituita da terreni agricoli e i suoi elettori sono per lo più di zone rurali, a differenza della popolazione statunitense nel suo complesso che è per lo più urbana. Ciò fa pensare a un elettorato solidamente conservatore, ma non è così: nel 2018 i democratici dell’Iowa controllavano tre dei quattro seggi della Camera dei Rappresentanti.
Dato il numero minimo di persone che hanno sfidato le temperature artiche per andare a votare, e il numero ancora più esiguo di coloro che hanno votato per lui, la vittoria di Trump nei «meeting» repubblicani dell’Iowa non dovrebbe significare quasi nulla per le elezioni presidenziali di novembre.
Ma tutti sanno che è vero l’esatto contrario, perché la brava gente dell’Iowa ha scelto Trump non perché è estremista, ma perché ha avuto l’opportunità di votare contro Biden e i democratici senza dover aspettare fino a novembre. La ragione non è l’età avanzata di Biden: la maggior parte delle persone che hanno votato in Iowa non erano giovani e non poche erano anziane, se ci si può fidare delle tante immagini circolate in queste ore sui «caucus» repubblicani che hanno scelto i candidati.
Non è nemmeno vero che l’Iowa è uno Stato che ha sempre votato per i Presidenti repubblicani: anzi, ha votato per il candidato democratico in sei delle ultime dieci elezioni presidenziali.
Ma questa volta i cittadini dell’Iowa hanno scelto Trump come leader perché il presidente Biden e il suo partito non sono riusciti a difenderli da due minacce che li preoccupano e li spaventano. La più importante è l’incapacità di impedire a tutti di entrare illegalmente negli Stati Uniti dal Messico in un numero assolutamente senza precedenti: due milioni e mezzo nel 2023, e il persistente attivismo dell’Amministrazione Biden nel promuovere cause «progressiste» impopolari, dalle auto elettriche, che la maggior parte degli americani ancora rifiuta (la Herz le ha appena eliminate dalla sua ampia flotta), all’ossessione gender che permette davvero ai ragazzi delle scuole di indossare reggiseni per diventare campioni di nuoto (femminili) – con il Governo federale pronto a difenderli vigorosamente in tribunale se qualcuno cerca di fermarli.
È vero che una manciata di casi clamorosi attira un’attenzione sproporzionata da parte dell’opinione pubblica? Sì, certo. Ma è anche vero che non sono solo i contadini dell’Iowa a essere allarmati dall’appoggio ufficiale a richieste estreme in tema di genere, già promosse a tutti i costi dai «progressisti» che hanno un’influenza sproporzionata nella società statunitense: nel luglio 2022, l’Università della Pennsylvania ha scelto la nuotatrice transgender Lia Thomas come studentessa-atleta modello e «Donna dell’anno».
Oggi l’inflazione è ancora alta – l’ultimo tasso rilevato è del 3,35%, ancora molto più alto del normale 2%, ma non così disastrosamente alto come un anno fa, al 6,4% – e per questo la questione di genere potrebbe diventare la questione chiave di ogni futura elezione.
Ma sarà l’incapacità di controllare l’afflusso di immigrati clandestini dal Messico a rivelarsi davvero decisiva e a decidere quasi certamente il voto di novembre. Per due ragioni distinte, una delle quali è espressa in numeri che sono sia senza precedenti e sia incompleti: i 2,5 milioni di persone intercettate dalle pattuglie di frontiera, una cifra che non tiene conto dei numeri di coloro che sono completamente sfuggiti al rilevamento.
L’altra ragione è che molti negli Stati Uniti – troppi per dare a Biden una possibilità di successo a novembre – ora sanno che gli immigrati clandestini non sono più solo messicani o centroamericani. Alcuni tra questi messicani possono essere membri di bande o semplicemente criminali, ma la maggior parte sono figure perfettamente familiari come il proverbiale signor José Martinez che lavora duramente nell’edilizia, nel giardinaggio, nell’agricoltura o in qualsiasi altro lavoro a disposizione, che sogna di diventare un imprenditore edile, e che è destinato a diventare Joe Martinez, e poi Joe Martin, e il cui figlio potrebbe entrare nel Corpo dei Marines come un altro qualsiasi buon americano.
Ora, invece, molti di coloro che arrivano sono musulmani provenienti dallo Yemen, dal Nord Africa e dall’Africa occidentale – dove tutti ora sanno che è più economico volare in Sud America che pagare i contrabbandieri attraverso il Sahara, e che il lungo e pericoloso percorso verso il confine con il Messico via Panama è molto meno pericoloso della traversata del Mediterraneo – e la destinazione sono gli Stati Uniti, la cui economia genera posti di lavoro per tutti coloro che sono disposti a lavorare.
Questo è il vero motivo per cui il confine con il Messico, che l’amministrazione Biden si rifiuta di chiudere, deciderà le elezioni di novembre. Lo sa anche Biden, ma tutti intorno a lui preferiscono perdere le elezioni piuttosto che abbandonare il campo «progressista» il cui slogan (Amazon vende le magliette) è che «nessuno è illegale in una terra rubata», cioè che gli Stati Uniti sono uno Stato colonizzatore, illegittimo che a suo tempo ha ucciso gli indiani e schiavizzato gli africani, perdendo così il diritto di difendere i propri confini.