Il compleanno di Kfir nelle mani di Hamas

Il compleanno di Kfir nelle mani di Hamas

La creaturina «gingi», come si definisce in ebraico una persona coi capelli rossi, è ormai Israel stessa, tutti sognano Kfir Bibas e suo fratello Ariel ogni soldato sogna di salvarli in fondo a una galleria oscura, ogni manifestazione ne inalbera i bei ritratti. Il 18 gennaio Kfir, il fagottino che non vede la luce del sole da 103 giorni, avrà un anno. Tre mesi fa le sue foto e i film che abbiamo visto tutti ormai, in tutte le parti del mondo, sembravano disegnare l’infanzia più felice del mondo: Kfir ha un sorriso più largo della sua faccia rosea, più largo della vita, qui gioca insieme a suo fratello di quattro anni Ariel, là lo baciano la mamma Shiri e il papà Yarden, due giovani di 32 e 34 anni.

Il 7 di ottobre i due bambini, due cuccioli di leone, mentre piovono senza sosta i missili, secondo il testo che la mamma manda sul telefonino alla sorella, capiscono cosa sta accadendo, sono agitati, incontenibili; i terroristi sono entrati nel loro kibbutz, Nir Oz. Dopo aver scritto alle 9,45 «Sono entrati» e «Vi amo» alla famiglia, la prossima notizia e anche l’ultima di Shiri sarà il volto disperato, lo sguardo incredulo e terrorizzato della giovane donna mentre i terroristi la trascinano via e lei tiene ambedue i bambini stretti, invano. Tutta la famiglia è stata rapita. Yarden si rivedrà in fotografia e in un filmino, sanguinate dalla testa.

Israele è in agonia per i Bibas ma soprattutto per quel bambino meraviglioso e per suo fratello, i piccoli che hanno dovuto incontrare l’inferno, l’odio di cui non avevano idea, lo sfregio fisico che ora li tieni chiusi al buio da 103 giorni che li affama, li asseta, li perseguita: senza saperlo essi sono il fiore all’occhiello di Hamas, l’Oscar all’antisemitismo mondiale, il Nobel della crudeltà e dell’orrore. Questo Hamas vuole: usare il meglio per ottenere il peggio, distruggere la vita per ottenere la guerra e la morte del nemico e la propria. L’incertezza per cui Israele si ostina a ritenere vivi i bambini anche se Hamas li ha dichiarati morti, aggiunge una tensione intollerabile alla guerra psicologica che Sinwar sa inventare usando la sofferenza degli ostaggi, come si è visto anche dai film di questi giorni, per ridurre il mondo intero in ginocchio a chiedere pietà per gli innocenti e piegarsi alla sua volontà. L’ambasciatore all’Onu di Israele, Gilad Erdan, si è presentato davanti all’Assemblea Generale con una torta su cui era rappresentato il viso di Kfir e gli ha dedicato il suo augurio: «Spero che l’anno prossimo celebrerai il tuo compleanno circondato dall’amore della tua famiglia. Questa torta è per te, tu sei la ragione per cui Israele combatte notte e giorno». La voce che tre membri della famiglia fosse stata uccisa ha cominciato a circolare la notte in cui su un’auto della Croce Rossa partirono gli scambi che hanno riportato cento ostaggi lasciandone 136 nelle mani di Hamas: i fratellini con la madre non erano fra le persone liberate. I bambini più sorridenti, più piccoli, non sono mai tornati. Intanto Yarden è stato sottoposto alla tortura, filmata e mostrata al pubblico, di un annuncio sulla morte di tutta la sua famiglia. Ma l’unica cosa che si riesca a immaginare al momento e in cui si spera è che i Bibas, siano finiti nelle mani della Jihad Islamica o di qualche altro gruppo dentro Gaza, come peraltro altri sette bambini e ragazzini esclusi dallo scambio, e che siano finiti nella confusione per la custodia dei prigionieri in qualche cunicolo.

Israele non perde la speranza che nell’impossibile discussione sugli scambi si accenda una luce. Ma ha ragione Erdan: è mai possibile che in tutto ciò la voce dell’Onu non si sia ancora mai udita? «È mai possibile che invece di ricevere amore e calore Kfir sia circondato da pura malvagità? Che la pena di un infante sia dimenticata dall’Onu? Questa creatura celebra il suo compleanno in prigionia». La torta di Kfir è rimasta in vista all’Onu, finché gli addetti alle pulizie non se la porteranno via. Questa è l’Onu, che non ha mai condannato Hamas se non chiedendo un cessate il fuoco che gli consentirebbe di sopravvivere.

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