«Ecco, vedete, siamo pure generosi», dice Giorgia mentre illustra ai partner lo schemino. Due, una, una, più una affidata a un civico «così non si scontenta nessuno». Dunque, due Regioni a Fratelli d’Italia, la Sardegna e l’Abruzzo, una alla Lega, l’Umbria, una a Fi, il Piemonte. Per la quinta, la Basilicata, la premier propone un candidato senza bandiere di partito. La questione «più che politica è matematica», precisa. Rispetto a quattro anni fa i rapporti di forza sono molto cambiati, oggi i meloniani valgono il 28 per cento, gli alleati il nove ciascuno. Il triplo. Vedete, insiste, «siamo generosi, lavoriamo per il bene di tutta la coalizione». Matteo Salvini e Antonio Tajani non sembrano molto d’accordo sul passo indietro. E infatti si rinvia. Come pure il decreto per il terzo mandato dei governatori chiesto dal Carroccio.
L’equazione di Giorgia, squadernata in serata sul tavolo del centrodestra, ha lo scopo di stroncare sul nascere divisioni e polemiche. Ragazzi, i numeri sono numeri, prendiamone atto. La stagione elettorale, tra amministrative ed europee, è piuttosto lunga, dal 25 febbraio al 9 giugno, con qualche coda autunnale, e proprio non conviene mostrarsi disuniti. Da qui l’idea del summit a Palazzo Chigi per trovare una soluzione, che tuttavia non è, non ancora, a portata di mano. Forza Italia e Lega ritengono troppi i sacrifici richiesti, ci sarà da lavorare per avvicinare le parti. Intanto il vertice viene derubricato a «normale scambio di idee» interlocutorio, una chiacchierata al termine del Consiglio dei ministri.
Ma bisogna sbrigarsi, avverte la premier. Il primo appuntamento è già tra 40 giorni in Sardegna. Dopo aver a lungo tenuto duro sul governatore uscente Christian Solinas, Salvini pareva deciso di dare il via libera a Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari, voluto dalla Meloni. Resta però il problema di risarcire Solinas, che potrebbe creare qualche disturbo alleandosi con l’ex Pd Soru: o magari può trovare posto delle liste per Strasburgo e si placa. E rimane il mal di pancia leghista, che il segretario non può trascurare. «In questo momento ci manca Silvio Berlusconi – si sfoga il leghista Andrea Crippa – lui sì che era un vero federatore, un leader che sapeva rappresentare anche le forze più piccole basandosi sulle capacità dei candidati più che sui numeri. Infatti all’epoca avevamo i presidenti delle tre grandi Regioni del nord». Altri tempi, ora «per carità, l’unità del centrodestra viene prima di tutti, dobbiamo governare». Di più. Per cedere la Sardegna, il Carroccio chiede un diverso approccio della Meloni alla Ue, un no chiaro a un accordo con il Ppe e alla conferma di Ursula von der Leyen, magari alleandosi con Marine Le Pen, cosa che Giorgia non sembra intenzionata a fare. In subordine, il Carroccio vorrebbe un trattamento migliore di quello previsto per Forza Italia. E qui nasce l’altro problema, la resistenza di Antonio Tajani nel sacrificare Vito Bardi. Salvini, come compensazione della Sardegna, vorrebbe proprio la Basilicata, con il suo coordinatore regionale Pasquale Pepe. FdI preferisce una soluzione soft, diplomatica. Un candidato civico, tipo il prorettore della Luiss Francesco Di Ciommo o il presidente della Confindustria lucana Francesco Somma. Gli azzurri non cedono. «Bardi ha governato bene, non si capisce perché dovrebbe essere sostituito», dice Tajani.
Sullo sfondo il caso Veneto. Nel 2025 scade il secondo mandato di Luca Zaia e Salvini vuole bloccarlo lì, con una legge ad hoc che preveda una terza legislatura e lo tolga dal mercato nazionale. La premier è contraria. «Così non ci liberiamo più di De Luca e Emiliano». E a complicare di più il quadro, le candidature dei leader alle Europee. La linea era «decideremo insieme», ma la Meloni va dritta verso il sì, soprattutto se scenderà in campo Elly Schlein. Salvini invece lo ha escluso. E Tajani? Lui pensa di presentarsi.