Alan Turing, il padre del computer e dell’Ia

Alan Turing, il padre del computer e dell'Ia

Alan Turing era solo un bambino quando andò in vacanza con i genitori e il fratello in Scozia. Correva in un prato immenso di erica quando decise di raccogliere del miele per il tè: allora «si mise a osservare le traiettorie delle api che gli ronzavano intorno, tracciò un grafico, trovò il punto d’intersezione e andò dritto a individuare l’alveare». Che dire di questo episodio, raccontato dal matematico Andrew Hodges nel suo Alan Turing. Storia di un Enigma (Bollati Boringhieri), la straordinaria biografia su cui è basato anche il film The Imitation Game, se non che prefigura il destino di un genio? In effetti, il matematico Alan Turing, nato a Londra il 23 giugno 1912, è stato un genio del Novecento, e non solo: è stato un uomo di scienza che ha cambiato il mondo grazie alla sua passione e ai suoi studi. Basti dire che è considerato il padre del computer e dell’Intelligenza artificiale… Ma, come reso celebre dal film con Benedict Cumberbatch, Turing è stato fondamentale anche durante la Seconda guerra mondiale: a Bletchey Park si mise a disposizione dell’intelligence di Sua Maestà per decifrare i codici della macchina tedesca Enigma, e ci riuscì proprio grazie alle riflessioni sui calcoli, i numeri e le macchine in cui, fin dai tempi di Cambridge (dove aveva vinto una borsa di studio al King’s College e, poi, una Fellowship a soli 22 anni), amava immergersi.

Esagerare l’importanza del suo ruolo rispetto al destino del XX e del XXI secolo è impossibile. Nello Cristianini, professore di Intelligenza artificiale all’Università di Bath, è autore del saggio La scorciatoia. Come le macchine sono diventate intelligenti senza pensare in modo umano (edito da il Mulino) ed è al lavoro proprio su un nuovo libro che tratta anche di Alan Turing. E ci spiega perché sia davvero il padre del computer: «Nel 1936, poco più che ventenne, Turing si occupava di capire che cosa sia calcolabile, e soprattutto di capire quello che non è calcolabile in principio. Era una domanda al confine tra la matematica e la logica e, per rispondere in modo rigoroso, dovette formalizzare il concetto stesso di computazione, così da potere dimostrare dei teoremi al riguardo. Per fare questo, introdusse l’idea di una macchina ideale – nel senso che non la costruì – e ne descrisse il funzionamento in dettaglio, dimostrando che questa poteva eseguire qualsiasi computazione. Ancora più importante, però, fu dimostrare che c’erano delle computazioni che nessun algoritmo avrebbe mai potuto eseguire. E, altro dettaglio importante, questa macchina era universale: ovvero, con il programma appropriato avrebbe potuto eseguire qualsiasi computazione». Non è finita: «Quello che rende Turing veramente speciale è che, qualche anno dopo, costruì dei calcolatori di quel tipo per decifrare le comunicazioni tedesche durante la Seconda guerra mondiale. Una versione fisica della sua macchina ideale. I computer di oggi sono i discendenti diretti delle idee di Turing: anche loro, cambiando programma, possono svolgere compiti completamente diversi». Il cellulare, il tablet, il pc su cui scriviamo sono tutte «macchine di Turing»: ne abbiamo una sempre a portata di mano, tutti i giorni, ventiquattr’ore su ventiquattro. Ma allora non esisteva nulla di tutto ciò. «La macchina di Turing era un’invenzione di Alan Turing» sintetizza Hodges nel suo libro, e spiega: «Alan aveva dimostrato che non esiste nessuna macchina miracolosa capace di risolvere tutti i problemi matematici. Ma così facendo aveva scoperto qualcosa di altrettanto miracoloso: l’idea di una macchina universale capace di assumersi il lavoro di qualsiasi macchina». Perfino, si scoprirà col tempo, di quelle «macchine» meravigliose che sono i corpi umani…

Comunque, a Turing non bastò ideare e costruire macchine universali, cosa che, pur con meno fondi rispetto agli anni di guerra, fece anche dopo il ’45: iniziò a porsi delle domande su questi marchingegni elettronici, e a interrogare anche gli amici. Per esempio, mentre correva (era un maratoneta quasi di livello olimpico) con lo scrittore Alan Garner nei dintorni di Manchester, gli chiese se considerasse possibile la costruzione di macchine intelligenti. Garner rispose di no. Per Turing la risposta era diversa, e l’aveva messa da poco per iscritto sulla rivista Mind. «Nel 1950 Turing pubblicò un altro articolo – racconta Cristianini – questa volta chiedendosi se le macchine di quel tipo sarebbero potute diventare intelligenti. Lui pensava di sì. Quell’articolo diede vita all’intero campo dell’Intelligenza artificiale, anche se Turing morì prima che questo termine fosse coniato: lui parlava di machine intelligence». A inventare il vocabolo fu, nel ’56, John McCarthy, ma è di Turing l’idea – che oggi sentiamo ripetere tanto spesso – di un «test»: «Non avendo una definizione univoca di intelligenza, né di pensiero – spiega Cristianini – Turing decise di aggirare una serie di obiezioni filosofiche, proponendo un test pratico per poter decidere; e tale test sarebbe diventato la definizione. Lui propose quello che chiamò il gioco dell’imitazione, e che oggi si chiama il test di Turing: se una macchina è in grado di conversare senza poter essere distinta da un essere umano in alcun modo, allora deve essere considerata intelligente. Oggi possiamo immaginare il test tramite una serie di messaggi su Whatsapp, scambiati tra una persona e un computer…». Insomma funziona ancora, pur «con cautela» secondo Cristianini: «Ci aiuta a capire che, se una macchina può emulare un essere umano alla perfezione in certi compiti, nella pratica possiamo trattarla a tutti gli effetti come se fosse intelligente, anche quando comprende il mondo in modo diverso da noi: ci dice che è il comportamento finale quello che conta. Ma ci sono forme di intelligenza animale, non umana, che non passerebbero il test».

Gli studi di Turing hanno «dato il via all’intero settore» dell’Intelligenza artificiale. E se non fosse morto così tragicamente e così giovane, il 7 giugno 1954, alla soglia dei 42 anni, ufficialmente uccisosi con una mela al cianuro, dopo avere patito la pubblica umiliazione di un processo per omosessualità e di una condanna, seguiti dalla tortura delle cure ormonali, che cosa avrebbe potuto fare ancora per la scienza? «Difficile dirlo. Già così ha innovato la crittografia, l’informatica teorica, la logica, e non dimentichiamo l’embriologia, nell’ultimo anno di vita: oggi il suo lavoro biologico si usa ancora. Fu un grande personaggio – dice Cristianini – Il vero impatto si misura con il contributo alla società, più ancora che alla scienza, e il mondo di oggi è profondamente diverso da come sarebbe stato senza la sua invenzione». Turing, che amava «semplicità e ordine» della natura ma, ancora di più, amava mettere in dubbio qualsiasi assioma, non si è mai fatto fermare: dai pregiudizi, dai confini fra le discipline (spaziava dalla fisica alla chimica, dai quanti ai moscerini, dai tubi catodici alle piante, e adorava Tolstoj), dall’autorità, dai nazisti, dalle pessime pagelle, dall’incomprensione della famiglia (benché Sara Turing lo abbia «ripagato», dopo la sua morte, con la toccante biografia Alan Turing. Un ritratto privato, edita in italiano da Franco Angeli), dalle sue stranezze (come contare i numeri sui lampioni, o indossare la maschera antigas in bicicletta contro il raffreddore da fieno…) e nemmeno da Shakespeare. Dopo avere letto Amleto, disse al padre che «una riga» gli era piaciuta. Era l’ultima: «Marcia funebre. Exeunt, portando via i corpi». Ma c’è modo e modo di uscire di scena e c’è, anche, chi riesce a restarci per sempre, a modo suo.

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