È stata condannata a 26 anni di carcere Rosa Fabbiano, la donna di 59 anni che nella primavera del 2022 a Melzo aveva ucciso l’anziana madre e poi ne aveva fatto a pezzi il corpo lasciandolo nella vasca da bagno. Un delitto maturato in una situazione familiare di forte disagio, sottolineato dallo stesso pm che aveva chiesto 28 anni. Fabbiano da sola sopportava il peso dell’accudimento della mamma 84enne malata, Lucia Cipriano.
La sentenza è arrivata ieri in Corte d’assise, presieduta dal giudice Ilio Mannucci Pacini. L’imputata era in aula alla lettura del dispositivo, assistita dall’avvocato Roberta Ligotti, si trova in carcere dal giorno dell’arresto. Al processo nessuno, neppure le altre due figlie della vittima, si è costituito parte civile. La donna è accusata di omicidio volontario aggravato e vilipendio di cadavere. Secondo le indagini dei carabinieri, coordinate dal pm Elisa Calanducci, Fabbiano potrebbe avere ammazzato la madre strangolandola, forse per farla smettere di gridare. Poi avrebbe avuto la «malsana idea», così le parole del pm nella requisitoria, di tagliare il cadavere in più pezzi e di nasconderlo nella vasca da bagno della casa della vittima. Vasca poi ricoperta da un telo di plastica.
Nel periodo in cui le altre due figlie dell’anziana, che vivono altrove, non riuscivano a parlarci, la 59enne diceva loro di aver ricoverato la madre in una Rsa. Circa due mesi dopo, il 26 maggio 2022, la figlia che abita a Trento era arrivata a Melzo per controllare e aveva scoperto tutto. La sorella l’aveva pregata: «No, non entrare in bagno». Poi Rosa Fabbiano era fuggita. Scriveva il gip Giulio Faneles che si era anche avvicinata «ad un fossato presente nelle vicinanze» e aveva tentato «di gettarsi, venendo però trattenuta per la maglietta dalla sorella». Avrebbe detto: «Sono stanca. Ho fatto un disastro! Vi ho rovinato la vita a tutti». In quel periodo la donna, che faceva l’operaia e aveva anche lei gravi problemi di salute, viveva a Mediglia con il marito disabile e due figli.
L’inchiesta ha ricostruito una storia di solitudine e disagio emotivo e psicologico, simile a tante altre. Secondo il gip, Rosa Fabbiano non avrebbe sopportato il «decadimento fisico e mentale» della madre. Le accuse di omicidio volontario aggravato e vilipendio di cadavere sarebbero state da ergastolo, tuttavia la Corte ha riconosciuto all’imputata le attenuanti generiche, equivalenti all’aggravante, così come chiesto pure dal pm. Nella requisitoria Calanducci aveva descritto la «condizione di estremo disagio» vissuta dalla 59enne e la sua «povertà ideativa, emotiva e anche affettiva», che però non sarebbe «sufficiente a mettere in dubbio che non fosse capace di intendere e di volere al momento dei fatti».