“Quarant’ anni di attesa sono tanti, troppi”. A parlare è Pietro, il fratello di Emanuela Orlandi, l’allora 15enne cittadina vaticana scomparsa da Roma il 22 giugno del 1983. Una storia misteriosa e intricata che, nel corso degli anni, non ha risparmiato colpi di scena: dall’eventuale coinvolgimento della Banda della Magliana, nell’ipotesi di un grosso ricatto, al presunto trasferimento della giovane in un collegio all’estero. Tutte piste ritenute attendibili, ma al contempo evanescenti: mai nessuna traccia di Emanuela. Ciononostante i familiari, assistiti dall’avvocato Laura Sgrò, non hanno mai smesso di rinnovare appelli alle autorità competenti affinché fosse fatta luce sulla vicenda. Lo hanno fatto anche sabato scorso, durante una manifestazione organizzata a piazza Cavour, a Roma. “È stata un’occasione non solo per ricordare mia sorella, ma per fare sentire ancora la nostra voce affinché chi di dovere faccia al più presto luce sul rapimento. È ora che la verità venga fuori” dice alla redazione de IlGiornale.it Pietro Orlandi.
Pietro Orlandi, a che punto sono i lavori della Commissione d’inchiesta?
“Sembra che finalmente qualcosa si stia muovendo. C’è stato un momento, la scorsa estate, in cui la situazione sembrava essersi arenata. E invece adesso ci sono dei segnali positivi”.
I partiti hanno già presentato le liste con i nomi di parlamentari e senatori che faranno parte della Commissione?
“Qualcuno lo ha fatto. E sono speranzoso che nei prossimi giorni anche gli altri lo faranno”.
È fiducioso.
“Molto. Credo che la Commissione possa fare un ottimo lavoro. Anche perché può operare nel massimo della trasparenza, visto che le audizioni possono essere anche pubbliche, se i membri della commissione vorranno”.
Nei giorni scorsi anche il promotore di giustizia del Vaticano, Alessandro Diddi, ha assicurato che le indagini stanno proseguono. Cosa pensa al riguardo?
“Diddi ha detto anche che non hanno ‘limiti di tempo’. Sinceramente ci sono rimasto un po’ male”.
Perché?
“Perché noi familiari abbiamo aspettato 40 anni, è già abbastanza. Forse Alessandro Diddi voleva intendere altro, però capirà che sono rimasto di stucco, visto che è stato Papa Francesco, il massimo rappresentante della Santa Sede, a chiedere di indagare a 360 gradi sulla scomparsa di Emanuela”.
A che punto sono, invece, le indagini delle procura di Roma?
“Ho saputo che il procuratore Stefano Luciani ha recuperato tutta la documentazione relativa alle indagini sulla scomparsa di Emanuela. E questo senz’altro mi fa piacere. Ma vorrei capire perché non sono state ancora sentite le persone che potrebbero essere a conoscenza di informazioni importanti”.
A chi si riferisce?
“Parlo di due persone vicine a Papa Francesco che in uno scambio di messaggi WhatsApp, peraltro inviati da telefoni riservati della Santa Sede, parlano di movimenti legati alla vicenda di Emanuela. Ho indicato i nomi alle procure”.
A grandi linee, può dirci quali sono le informazioni di cui potrebbero essere a conoscenza le persone che ha segnalato?
“Una cassa che potrebbe contenere materiale relativo a Emanuela (documenti, eventuali prove) che, secondo i due presunti testimoni, sarebbe stata portata a Santa Maria Maggiore. Ma non ho mai parlato di resti, sia chiaro”.
A tal riguardo, durante la manifestazione del 13 gennaio, lei ha citato l’ex ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. Può fare chiarezza sul punto?
“Riguardo Franceschini, l’ho citato in quanto potrebbe essere una persona informata su alcuni fatti”.
Cioè?
“Una delle due persone coinvolte in questi messaggi WhatsApp mi ha detto che la cassa sarebbe stata consegnata al cardinale Abril, che nel 2014 era arciprete di Santa Maria Maggiore, e messa nei sotterranei della Basilica. La stessa persona ha aggiunto anche che sarebbe stato costruito un muro per mettere al sicuro l’ambiente in cui sarebbe custodita questa cassa. Per fare i lavori sarebbe stata chiesta l’autorizzazione all’allora ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. E dunque, se fosse contattato, Franceschini potrebbe confermare o smentire se realmente sia stato dato il via libera per questi lavori. Tutto qua”.
Lei ha chiesto al Papa di ‘alzare la voce’. Cosa Intendeva?
“Il Papa ha voluto fortemente questa inchiesta, chiedendo che venissero fatte indagini a tappeto, senza fare sconti a nessuno, per arrivare alla verità. Con l’espressione ‘alzare la voce’ non intendevo di certo dare indicazioni a Papa Francesco, ci mancherebbe, ma sollecitare l’attività del promotore di giustizia del Vaticano, Diddi, visto che non sono state ancora sentite né le persone coinvolte nei WhatsApp né i due emissari della Santa Sede che parteciparono all’incontro con l’ex procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo”.
Ritornando alla scomparsa di Emanuela, da dove bisogna ripartire per arrivare alla verità?
“Da quei messaggi WhatsApp a cui accennavo prima. Chiedo solo che vengano sentite da entrambe le procure le persone che ho menzionato. Almeno per appurare la veridicità delle informazioni in loro possesso. Se trovassero riscontro potremmo essere davvero vicini a una svolta. Abbiamo aspettato quarant’anni, con fatica e pazienza. Adesso è il momento di fare uscire fuori la verità sulla scomparsa di mia sorella”.