Le primarie in Iowa sono scivolate via con senza particolari incertezze. Donald Trump ha doppiato gli inseguitori e raccolto più preferenze di tutti gli altri candidati messi insieme. Il voto nell’Hawkeye State non solo restituisce lo stato della politica americana – ripiegata sugli stessi contendenti del 2020, Donald Trump e Joe Biden – ma ci dice anche qual è lo stato dell’arte della destra conservatrice americana. L’Iowa, dal 2016, ha perso il ruolo di Swing State, ha vitato a destra, più di quanto abbia fatto il resto dell’Unione. Eppure dati interessanti e significativi sono emersi.
La forza di Trump
Il primo, più banale se vogliamo, è quello della forza di Trump. L’ex presidente tiene in pugno la base del partito. Quella che partecipa alle primarie, che si impegna nel porta a porta e nell’organizzare una corsa complessa come i caucus, che richiedono più tempo rispetto a un voto normale. Questa presa è certificata anche dal fatto che l’impegno, sul campo, del tycoon è stato tutto sommato limitato. Pochi comizi, rispetto alle centinaia degli avversari, e poca pubblicità. Eppure, ha notato la stampa americana, la macchina che lo accompagna è più precisa e rodata del 2016. La prova di forza dell’ex presidente sta anche nel margine di vittoria, sopra il 50% e con un divario di 30 punti sugli altri candidati mai visto in Iowa.
La valanga trumpiana ha surclassato DeSantis, che nei toni e nei temi più gli assomiglia, in tutte le contee del profondo Iowa, giocando sull’appoggio che gli hanno garantito gli evangelici. Il tycoon ha retto anche nelle aree urbane e in quei sobborghi considerati più favorevoli a Nikki Haley.
Ma l’America non è l’Iowa. Trump dovrà ora lavorare per allargare la sua coalizione fuori dalla base più conservatrice e vicina alle istanze del suo movimento Maga. Il 30% dei partecipanti al caucus ha detto che per ora appoggia la sua corsa alle primarie ma che, se nei prossimi mesi dovesse essere condannato, non sarebbe idoneo a governare. Un piccolo bust per Trump potrebbe arrivare dal ritiro di Vivek Ramaswamy che non è arrivato all’8% e ha lasciato, dando il suo sostegno all’ex presidente.
DeSantis resiste, ma non brilla
Le primarie in Iowa, fin da subito, erano state presentate come una grande sfida per il secondo posto. Numeri alla mano questa sfida è andata a Ron DeSantis. Ma, come nota il New York Times, quella del governatore della Florida è solo una vittoria di Pirro. DeSantis aveva puntato tutto sull’Iowa. Ha tenuto comizi in tutte le 99 contee, ha parlato in palestre, pub, chiese. Ha stretto mani (pure alla moglie, dimostrando scarsa disinvoltura in pubblico) e incassato il supporto del leader evangelico Bob Vander Plaats. Un supporto che però non ha fatto breccia nella comunità che gli ha preferito Trump.
Ma soprattutto ha speso tanto. Il suo super Pac (organismo che si occupa di raccogliere fondi per la campagna elettorale) ha pompato milioni di dollari, surclassando quello degli avversari. Ha speso la sua immagine in lungo e in largo e, spesso, si è lasciato andare alla convinzione di poterle vincere. Nelle ultime settimane la strategia del governatore è stata quella di dipingere Trump come un candidato “poco conservatore”, accusandolo su aborto e promesse non mantenute, come la mancata realizzazione del muro al confine con il Messico. Ma è evidente che il tentato sorpasso a destra non ha funzionato. Se è vero che ha allontanato lo spettro di un rovinoso terzo posto, ha staccato Haley di un pugno di voti, poco meno di 2.300, e questo non lo aiuta in vista delle primarie in New Hampshire.
Lì la strada sarà ancora più in salita. Lo Stato è molto meno conservatore dell’Iowa e infatti i sondaggi lo fotografano tra il terzo e quarto posto. Poi, con ogni probabilità, perderà anche il caucus in Nevada e infine dovrà giocarsela a fine febbraio in Sud Carolina, dove la Haley è stata governatrice per due mandati tra il 2011 e 2017 e dove Trump è, di nuovo, avanti nei sondaggi.
Haley bene, ma non brilla
Terza, e a un passo dal secondo posto, la Haley ha raccolto tanto rispetto a quando era data con percentuali minimali. All’inizio della sua campagna, la candidatura appariva come velleitaria, era senza soldi, senza staff e senza una presenza mediatica che potesse piacere ai media. Dopo la sua candidatura nel febbraio del 2023 ha lavorato tanto e oggi ha raccolto un 20% dignitoso, ma poco altro.
Come ha notato il Times dietro di lei si è raccolto il Gop non-trumpiano, i moderati con istruzione universitaria, alcuni indipendenti e anche dei dem delusi da Biden che vivono nei sobborghi. In un Partito repubblicano sempre più conservatore la strada è strettissima. Rispetto a DeSantis il calendario dovrebbe favorirla e infatti ora punterà forte sulla campagna nel Granite State per andare a insidiare Trump, per poi votare nella sua Sud Carolina. Lo stesso Trump e i Pac che appoggiano la corsa dell’ex presidente hanno iniziato ad attaccarla con spot mirati. Il problema è che Haley non potrà permettersi passi falsi, come lo scivolone sulla Guerra civile e la schiavitù che, secondo qualcuno, le è costato qualche punto percentuale.
Verso un New Hampshire più competitivo
Per la stampa americana l’Iowa è sempre meno un terreno significativo per capire dove va il Paese e dove vanno i repubblicani. In questo senso il New Hampshire sarà il terreno di scontro ideale per capire la vera forza di Trump, se Haley ha speranze di continuare ancora per qualche mese le primarie, ma soprattutto quanto è diventato radicale l’elettorato repubblicano.
In Iowa hanno votato e partecipato ai caucus solo i repubblicani più coinvolti. Non c’è dubbio che Trump abbia plasmato il partito intorno alla sua agenda, portando nel Gop le istanze di un pezzo di America che, fino al 2016, non aveva voce, riportando nel dibattito politico elementi che da sempre, sottotraccia, accompagnano la storia americana, come l’isolazionismo. Ma è innegabile che i pochi votanti dell’Iowa, circa il 15% di tutti gli aventi diritto, non possano ancora essere indicativi.
Il New Hampshire richiede ai candidati un impegno maggiore, con incontri nei vari municipi dello Stato che possono rivelarsi molto insidiosi. Haley, che ha parlato di “indipendenti pronti a correggere il voto in Iowa”, punta a fare presa anche sulla comunità dei libertariani. Nel voto del 23 gennaio andrà testato quanto Trump sarà in grado di allargare la sua coalizione oltre al popolo ultra conservatore; quanto la Haley è davvero forte nel mondo extra-Maga (e di riflesso quanto questo sia ampio) e se sarà capace di restare in scia almeno fino al super martedì di inizio gennaio; e se DeSantis riuscirà a reggere l’urto di un eventuale terzo posto che potrebbe costargli i finanziatori.