In Alaska, alcune miglia a nord del Circolo Polare Artico, il sole tramonta per l’ultima volta a dicembre, per lasciare spazio al buio che avvolge la regione per oltre sessanta giorni consecutivi ogni inverno. Con temperature che scendono ben oltre i venti gradi sotto lo zero, in una tundra ghiacciata inospitale a gran parte delle forme di vita.
True Detective: Night Country, la quarta stagione della serie HBO appena uscita, in contemporanea con gli Stati Uniti e in streaming solo su NOW, è ambientata a Ennis, una località immaginaria di uno degli Stati più settentrionali al mondo, proprio nel periodo della notte polare. A differenza delle altre stagioni, questa volta il team di investigatori è formato da due donne, Liz Danvers ed Evangeline Navarro, interpretate rispettivamente dalla due volte premio Oscar Jodie Foster e dalla campionessa di boxe Kali Reis. A dirigerle è la messicana Issa López, pupilla di Guillermo del Toro e fra gli artisti latini più in vista del momento, che ha anche scritto questa stagione di True Detective.
Il freddo è stato fra i temi ricorrenti anche della premiere mondiale della serie, negli studi Paramount di Melrose Avenue a Los Angeles, durante la quale enormi cubi di ghiaccio hanno avvolto la scritta Night Country a pochi centimetri dall’elegante tappeto grigio su cui hanno sfilato i protagonisti.
«Fra i tanti registi con cui ho lavorato, credo che Issa López sia la mia preferita in assoluto – ha esordito la Foster Qualcuno potrebbe dire che io, lei e Kali eravamo una grande squadra tutta al femminile, ma non basta. La cosa che ha funzionato è che eravamo gentili l’una con l’altra, ma anche estremamente sincere e dirette. E quando metti tre persone oneste a confronto sul set, è un paradiso perché non ci sono frasi non dette o frustrazioni nascoste. La nostra collaborazione ha funzionato perché non ci nascondevamo mai nulla».
La Foster torna a vestire i panni di una poliziotta a trentatré anni da Il Silenzio degli Innocenti «Allora non mi rendevo conto di quanto fosse innovativo per quei tempi quel ruolo al femminile. Quel film era per me solo il racconto del più classico percorso dell’eroe. Solo che allora gli eroi erano quasi sempre uomini. In questo il Silenzio degli Innocenti fu davvero rivoluzionario, ci sono voluti trent’anni perché il mondo del cinema e della televisione raccontasse voci differenti, donne, minoranze e antieroi, complicati e incasinati». Jodie Foster, che aveva recitato in una serie tv per l’ultima volta nel 1975, è una grande fan della prima iconica stagione di True Detective, con Matthew McConaughey e Woody Harrelson.
«Era il 2014 e credo che sia proprio stato guardandola che ho riscoperto la qualità delle produzioni televisive. È passato parecchio tempo dal 1975, diciamo che mi ero persa nel mondo dei film, anche se credo che adesso la vera narrativa sia nel mondo dello streaming perché permette di esplorare i personaggi a fondo, su più episodi, senza rimanere schiavi del genere che si sta portando in scena. Inoltre, da filmmaker, mi rendo conto che questo nuovo modo di produrre contenuti permette di coinvolgere molte più voci e punti di vista diversi, che fino a oggi nel mercato mainstream erano spesso lasciati indietro».
Il riferimento, in questo caso, è chiaramente alla tribù nativa americana degli Inuit che tradizionalmente abita le regioni artiche e subartiche del nord America. Diversi attori nativi hanno infatti partecipato a True Detective: Night Country che, proprio come le precedenti edizioni della serie, attraverso le indagini dei protagonisti esplora le profondità della psiche umana, mescolandole al racconto della misticità tradizionale dei luoghi in cui è ambientata.
Kali Reis, pugile professionista e nativa americana, porta in scena la detective Evangeline Navarro, l’altra complessa e combattiva metà della coppia di investigatrici. «Credo che ci sia un parallelismo fra il pugilato e la recitazione ha spiegato la tre volte campionessa del mondo di boxe devi fidarti delle persone che hai accanto, devi ripetere decine di volte gli esercizi e poi combattere è un po’ come raccontare una storia. Si tratta di intrattenere un pubblico. Ovviamente lavorare con una leggenda come Jodie è stata una grande emozione per me. La cosa che mi ha colpito di più però è che Issa Lopez ha avuto il coraggio di portare sullo schermo il tema delle donne native americane scomparse, un fenomeno oscuro di cui nessuno parla ma che flagella la nostra gente da generazioni. Non basta che le nostre storie vengano raccontate solo fra noi indigeni, abbiamo bisogno di alleati forti come Jodie e Issa, per mostrare queste vicende al mondo e cambiare le cose. Sono drammi di cui non si sente parlare, ma succedono ogni giorno. Basti pensare che statisticamente le donne indigene hanno dieci volte più possibilità di essere vittime di violenza nella loro vita, rispetto alle altre. Succede dai tempi della colonizzazione degli Usa. Sono passata dall’arte nobile alla settima arte: non vengo più presa a pugni per venti o trenta minuti consecutivi, ma credo di poter dare il mio contributo a questa lotta anche così».