Gli indiani di Arcerlor mollano l’ex Ilva. E investono 1,8 miliardi in Francia

Arcelor pretende troppo. Ilva verso il commissario

Addio Taranto, la scommessa sull’acciaio passa per Dunkerque. ArcelorMittal non vedeva l’ora di lasciare l’Italia e forse non ci ha mai creduto davvero. Il colosso siderurgico nato dalla fusione tra l’industria indiana e quella europea sposta i suoi investimenti e trova un accordo con il governo francese. Si parla di 1,8 miliardi di euro per ristrutturare gli altiforni che guardano il porto di confine che segnò lo sbarco delle forze alleate nella seconda guerra mondiale. L’idea è di finanziare due nuovi forni e, allo stesso tempo, lavorare per ridurre le emissioni tossiche del 6 per cento. Il gioco è più o meno sempre lo stesso, la multinazionale offre nuovi posti di lavoro e in cambio si veste di una patina ecologica. Quello che chiede, in questo caso a Parigi, è un contributo pubblico di 850 milioni. L’importante è che i tempi siano veloci, la burocrazia snella, i sindacati consapevoli e l’opinione pubblica distratta. Non è detto che questo in Francia possa accadere, di certo c’è che i padroni dell’acciaio non hanno avuto in Puglia la pazienza, la voglia o l’interesse di immaginare un futuro. La realtà è che c’è una variabile fondamentale in questa scelta: il nucleare. Il ministro delle Finanze Bruno Le Maire ha firmato una lettera d’intenti con Electricite de France per un contratto di fornitura a lungo termine di energia nucleare. Gli stabilimenti italiani soffrono i costi di alimentazione. Non sono competitivi con il resto dell’Europa e sono una zavorra che nessuno, dal referendum del 1987, ha avuto la forza di strappare. Macron, e i suoi predecessori, sono molto più arguti, o furbi. Si dichiarano favorevoli alla transizione ecologica, ma ricordano a tutti che il nucleare non si tocca. Non hanno mai accettato la castrazione ideologica. Non c’è da dargli torto. Non serve qui ricordare che l’acciaio è una risorsa strategica e sul mercato globale resta uno dei beni più preziosi. Il guaio per l’Italia è che ogni crisi rischia di metterci all’angolo sul fronte delle materie prime. È quello che sta accedendo con il blocco del Mar Rosso. La situazione dell’Ilva nel frattempo resta nel limbo. Arcelor-Mittal dovrebbe cedere il controllo azionario a Invitalia, socio pubblico che dipende dal ministero dell’Economia. Il costo dovrebbe essere di circa 400 milioni di euro. A quel punto la multinazionale si tirerà un po’ alla volta fuori e lo Stato italiano cercherà nuovi, difficili, acquirenti. Nel frattempo sarà acciaio nazionale.

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