Prende ufficialmente il via la stagione delle primarie americane. In Iowa il Partito repubblicano inizia la selezione per scegliere il candidato da schierare contro Joe Biden alle elezioni del prossimo 5 novembre. In realtà, sottolineano sondaggi ed esperti, la partita è finita ancora prima di giocare. Donald Trump viaggia con un vantaggio considerevole sugli sfidanti, costretti a combattere per il secondo posto. Eppure il voto nell’Hawkeye State rimane importante per avere una vaga idea di quello che succederà nei prossimi mesi e nella lunga corsa verso le presidenziali.
Un incontro nell’America profonda
Quello dell’Iowa è un tipo particolare di primarie, denominato caucus. È una forma di consultazione che non prevede il coinvolgimento di organi federali e viene gestito interamente dal partito, in particolare degli attivisti. Prevede incontri limitati in piccoli gruppi, in palestre, chiese, a volte anche in casa di qualche attivista. Ci si riunisce e si discute dei vari candidati. Un rappresentate di ogni candidato parla da un palco e cerca di convincere i partecipanti a sostenere il proprio “campione”. Poi si vota, ogni raduno raccoglie le preferenze e si somma tutto.
Il caucus dell’Iowa rappresenta una tradizione politica da decenni. L’idea di partire da uno Stato rurale dell’America profonda risale al 1972: il partito democratico cercava un modo per rimediare al disastro della convention del 1968 e, così, decise di puntare su una forma di raduno popolare lontana dalle elite di Washington per restituire all’America popolare un senso di vicinanza alla politica. Fino all’avvento di Barack Obama, l’Iowa era considerato uno Stato in bilico, ma dal 2016 è saldamente in mano al partito Repubblicano. E quest’anno solo il Gop ha deciso di partire da qui, mentre i dem, scottati dal caos di quattro anni fa, hanno scelto diversamente.
L’inizio del caucus è fissato per le 19 ora locale, le 2 di notte del 16 gennaio in Italia, e potranno parteciparvi tutti i residenti dell’Iowa di almeno 18 anni registrati come repubblicani. Conti alla mano stiamo parlando di 750mila persone, circa il 35% dei 2,2 milioni di elettori registrati in Iowa.
Cosa c’è in gioco
Anche se la vittoria di Trump è data per certa, ci sono diversi elementi in gioco. Partiamo dallo stesso ex presidente: secondo la media dei sondaggi, il tycoon è dato avanti con oltre il 50% delle preferenze, un numero importante che certifica la sua presa sulla base del partito. Sulla stampa americana più di qualcuno ha fatto notare che questa “presa” andrà misurata attraverso il margine di vittoria. Se dovesse affermarsi con un punteggio sotto il 40-45% vorrebbe dire che qualcosa nella campagna di Trump non funziona come dovrebbe, che esiste una crepa nella quale qualche sfidante può provare a infilarsi.
Lo sfidate più sicuro di poter costringere Trump a lottare più del previsto dovrebbe uscire dalla sfida per il secondo posto. Sarà infatti interessante osservare chi, tra Ron DeSantis e Nikki Haley, si piazzerà alle spalle di Trump e con quale margine. Tra i due il rischio maggiore lo corre il governatore della Florida. DeSantis ha investito tantissimo in queste primarie. Si è fatto vedere in quasi tutte le contee, ha investito in pubblicità, e ha provato a mettere la sua immagine ovunque, tentando di fare leva sulla leadership repubblicana dello Stato. Per lui arrivare secondo con preferenze sotto il 20% o addirittura arrivare terzo rischia di affossare in modo definitivo una campagna mai decollata.
Il destino di DeSantis è legato a doppio filo a quello di Nikki Haley. L’ex rappresentate Usa all’Onu punta a contenere i danni in Iowa. Si è fatta vedere, ma non ha battuto tutte le contee, ha lasciato ai margini quelle più rurali, mentre si è concertata in quelle con un tessuto suburbano più sviluppato. L’obiettivo è quello di andare testa a testa con DeSantis e puntare tutto sulle primarie del New Hampshire, dove Trump è più debole, per poi tentare un colpaccio in Sud Carolina, dove la Haley è stata governatrice tra i 2011 e 2017.
Il peso dell’ondata di gelo
I tre candidati principali hanno adottato un approccio diverso nella campagna elettorale. Per capirlo basta vedere il numero dei comizi. Ci ha pensato il Des Moines Register. Il quotidiano della capitale statale ha contato tutti gli aventi a cui hanno preso parte i candidati. Il “re” degli incontri è stato Vivek Ramaswamy (imprenditore ultra trumpiano con poche possibilità di andare oltre il 6-6%), che ha sfondato quota 300 nell’ultimo anno, seguito da DeSantis sopra i 130 comizi, Haley, intorno all’ottantina, mentre Trump si è fermato a una trentina.
The Donald puntava a un picco di impegni nel fine settimana ma la tempesta di ghiaccio e neve ha bloccato lo Stato impedendo a lui e gli altri di stringere le ultime mani. L’ondata di gelo sta bloccando strade e ha portato la collanina a sfiorare i -40 gradi. Un’ondata di maltempo così forte potrebbe anche avere un impatto sul voto. Ad esempio potrebbe colpire Trump. La sensazione che la vittoria sia così ampia potrebbe convincere molti dei suoi sostenitori a non partecipare al caucus, facilitando invece quelli che hanno speso più tempo a battere lo stato palmo a palmo, come Ron DeSantis.
La campagna: come si sono mossi i candidati alla primarie
I tre candidati principali hanno giocato una partita diversa. Trump si è affidato soprattutto a un centinaio di “caucus captains”, patrioti trumpiani con il compito di reclutare amici, conoscenti e vicini di casa per partecipare per la prima volta ai caucus. L’obiettivo della campagna è quella che ogni “capitano” porti al caucus almeno una decina di sostenitori che si schierino con l’ex presidente.
Come detto il governatore della Florida ha puntato tutto sull’attività porta a porta grazie anche ai “Canvassers for Ron DeSantis”, attivisti che hanno bussato alla porta di centinaia di persone. L’obiettivo è di replicare l’exploit del senatore Ted Cruz che nel 2016 si aggiudicò lo Stato contro Trump, salvo poi perdere le primarie mesi dopo. Secondo fonti della sua campagna elettorale i suoi volontari avrebbero incontrato circa 850 mila cittadini, quasi un terzo di tutta la popolazione dell’Iowa.
Nikki Haley ha optato invece per una campagna che contenesse di danni. L’ex governatrice sa di non essere competitiva in uno stato così rurale. Nei suoi comizi ha battuto soprattutto le contee urbane, come quella di Scott, Story e Polk, vinte nel 2016 da Marco Rubio. Jonathan Martin, editorialista di Politico che ha partecipato a un paio di comizi di Haley, ha notato malignamente come tra i partecipanti ci fossero solo laureati, un segmento che all’interno del partito repubblicano non garantisce la vittoria.
La Haley ha appoggiato la sua campagna alla spesa in spot pubblicitari sborsando qualcosa come 4,6 milioni di dollari. Un aiuto arrivato anche grazie all’appoggio di un donatore come Charles Koch, che ha fornito una struttura di appoggio per gestire attivisti e addetti alla campagna elettorale.
Cosa dicono i sondaggi
Le rilevazioni nei fatti incoronano Trump. Secondo la media di sondaggi del sito FiveThirtyEight il tycoon è avanti con il 51% delle preferenze. Inseguo, da lontano, da Nikki Haley (17%) e DeSantis (16%). Secondo uno degli ultimi sondaggi disponibili, realizzato da Des Moines Register, NBC News e Mediacom, il tycoon viaggerebbe intorno al 48%, seguito dalla Haley al 20% e da DeSantis al 16. Numeri tutti da verificare per capire se sotto dopo la neve dell’Iowa ci sarà ancora battaglia.