“La pazienza sta finendo”. Scricchiola l’asse tra Israele e Usa

Gelo tra Biden e Bibi (dopo quasi un mese): "Servono i due Stati"

Le crepe tra Stati Uniti e Israele si fanno sempre più evidenti. All’alba del 100esimo giorno di guerra, un funzionario americano ha riferito al sito di notizie Axios che il presidente Joe Biden è “frustrato” dei continui rifiuti di Tel Aviv alle richieste della Casa Bianca che dovrebbero allentare la tensione a Gaza. “La situazione è orribile e siamo bloccati. La pazienza del presidente sta finendo”, ha dichiarato la fonte, che ha chiesto di rimanere anonima.

L’ultimo colloquio telefonico tra il leader degli Usa e il premier israeliano risale al 23 dicembre, ed è stato concluso da Biden con un secco: “Questa conversazione è finita”. Nei primi due mesi di guerra, si erano parlati quasi tutti i giorno. “In ogni momento, Netanyahu ha mostrato il dito medio a Biden”, ha commentato il senatore democratica Chris Van Hollen, che è stato in stretto contatto con ufficiali dell’amministrazione statunitense impegnati nelle trattative con il governo israeliano. “Si rivolgono alla coalizione di Netanyahu, ma vengono continuamente presi a schiaffi”. In particolare, l’irritazione di Biden deriverebbe dal fatto che il governo dello Stato ebraico abbia deciso di trattenere i fondi delle tasse destinati a Gaza e che non vi siano ancora stati colloqui concreti per discutere del periodo post-bellico. L’amministrazione Usa, inoltre, è preoccupata dal fatto che le Idf non abbiamo compiuto la transizione da guerra ad alta intensità ad operazioni mirate. Ritardi ulteriori potrebbero rendere difficile a Biden il mantenimento del suo “supporto incondizionato” all’azione militare di Tel Aviv.

L’ultima visita in Israele del segretario di Stato Antony Blinken ha ulteriormente esacerbato i toni dello scontro diplomatico. L’unica concessione fatta da Netanyahu, infatti, è stata permettere l’ingresso di una missione Onu nella parte nord di Gaza, per valutare le condizioni necessarie al ritorno dei civili. Durante il suo incontro con il gabinetto di guerra, il rappresentante della Casa Bianca ha ricordato al governo ebraico che “nessun Paese arabo li salverà” dal doversi occupare della ricostruzione della Striscia se non verrà garantito all’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen un ruolo nel futuro politico della regione. Un’eventualità, questa, che i ministri più estremisti dell’esecutivo di Netanyahu vogliono impedire a tutti i costi.

L’amministrazione Biden sta dunque seguendo due strade: da un lato, Blinken ha riferito al premier israeliano che l’Arabia Saudita è ancora interessata a firmare il trattato per la normalizzazione delle relazioni una volta che la guerra sarà finita, ma solamente se Tel Aviv accetterà di impegnarsi per la soluzione dei due Stati; dall’altro, il segretario di Stato ha tenuto colloqui separati con Benny Gantz, leader del Partito di unità nazionale e probabile successore di Netanyahu, con il leader dell’opposizione Yair Lapid e con il ministro della Difesa Yoav Gallant, avversario del premier all’interno del Likud. Washington, quindi, ha iniziato a ragionare sul lungo periodo e a stringere rapporti con coloro che, una volta passata la tempesta della guerra, saranno i principali attori politici dello Stato ebraico.

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