Abdul-Malik, il più giovane fra gli otto fratelli della storica famiglia al Houthi, è il capo indiscusso e carismatico dei giannizzeri sciiti nello Yemen. Dopo la prima ondata di raid alleati è apparso in tv annunciando che «la rappresaglia sarà più grande dell’attacco». Classe 1979, barbetta ben curata, vestito tradizionale, il leader Houthi si presenta sempre in maniera impeccabile con tanto di janbya, il pugnale ricurvo yemenita, infilato nella cintola. La lama ricorda il sangue e l’impugnatura, in corno di rinoceronte, la virilità.
Dopo l’annuncio in televisione sono partiti altri missili verso il Mar Rosso e la flotta americana ha lanciato un ulteriore raid su postazioni radar e una base militare a Sana’a, la capitale. In seguito sarebbe stata colpita una base navale nel porto di Al-Hudaydah, lo strategico sbocco sul mar Rosso controllato dagli sciiti e attaccato anche nella prima ondata di raid.
Gli Houthi sono abituati da anni di sanguinosa guerra civile ai bombardamenti pesanti, soprattutto dei sauditi, mai riusciti a piegare i ribelli sciiti. Il loro portavoce, Mohammed Abdulsalam, ha detto che i raid «non hanno alcun impatto significativo sulle capacità del gruppo». E ha ribadito che continueranno «gli attacchi alle navi affiliate a Israele nel Mar Rosso e Arabico».
Il generale americano Douglas Sims, direttore delle operazioni dello Stato maggiore congiunto, ha ammesso che «ci aspettiamo una sorta di ritorsione. Spero che non lo facciano, ma siamo pronti».
Abdul-Malik al Houthi è lo stratega del braccio di ferro nel Mar Rosso. Al momento considera «punzecchiature» i missili Tomawak lanciati dagli Usa e dalla Gran Bretagna. E punta a trasformarle in «medaglie» per aumentare ancora di più la già ampia notorietà e visibilità conquistata da quando ha, di fatto, dichiarato guerra a Israele e terrorizzato il traffico commerciale attraverso il canale di Suez.
La famiglia fa storicamente parte della setta sciita degli Zaidi, che ha la sua roccaforte a Saada, nel nord del paese, dove è nato il futuro capopopolo. Il giovane Houthi, nome di battaglia Abu Jibril, ha raccolto il testimone dal fratello Hussein, fondatore del movimento sciita, ucciso nel 2004 dalle forze governative del presidente Ali Abdullah Saleh. Una decina di anni dopo Abdul-Malik prendeva il controllo della capitale destituendo il presidente e chiudendo il Parlamento. Al suo posto si è instaurato il Comitato supremo rivoluzionario.
Il partito degli sciiti è Ansar Allah, i partigiani di Dio, ma per il controllo del potere Abdul-Malik si è affidato, in via familiare, a due fratelli, Yahia e Abdul-Karim.
Nel 2009 il leader era stato dato per morto sotto un bombardamento e anche dopo hanno cercato di farlo fuori, ma è sempre scampato ad una fine prematura. Per sopravvivere ha adottato rigide misure di sicurezza, che lo rendono un «fantasma», simili a quelle che stanno tenendo in vita Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah. Il capo Houthi lo venera e con lui condivide il forte appoggio alla causa palestinese. Non a caso i giannizzeri di Teheran nello Yemen vengono chiamati «Hezbollah B».