Mancano meno di dodici mesi alle elezioni Usa e la macchina elettorale ha scaldato ormai i suoi motori. Il 15 gennaio gli elettori del Gop dell’Iowa daranno il via alla stagione delle primarie americane, nella modalità insolita che hanno scelto dagli anni Settanta. Da cinque decadi, infatti, gli elettori dell’Hawkeye State si riuniscono in luoghi pubblici, come scuole o chiese, per scegliere il loro candidati in quell’intricato processo noto come caucus. I democratici, dal canto loro, hanno rivoluzionato questa tradizione, e quest’anno per la prima volta sceglieranno tramite votazione per corrispondenza, che andrà avanti per diverse settimane annunciando i loro risultati solo il 5 marzo.
I caucus hanno un meccanismo complesso e richiedono che i membri del partito si rechino in un luogo di persona, in un momento specifico e dichiarino pubblicamente le loro preferenze. La maggior parte degli Stati si è allontanata da questo metodo vetusto e confusionario, optando per le tradizionali e patinate primarie. Ma a Des Moines vige un detto secondo cui “Un candidato deve stringere la mano sette volte a un lettore per ottenere il suo sostegno“, pertanto il partito repubblicano qui ha scelto di restare fedele alla tradizione fornendo il campo di battaglia alla sua rosa di candidati, ormai ridotta a cinque esponenti principali: l’ex presidente Donald Trump, il governatore della Florida Ron DeSantis, l’ex ambasciatrice delle Nazioni Unite Nikki Haley e l’imprenditore Vivek Ramaswamy. Game over, invece, per l’ex governatore del New Jersey Chris Christie, che mercoledì scorso ha scelto di abbandonare la competizione per la nomination, conscio di non aver i numeri per farcela.
Donald Trump verso la vittoria scontata in Iowa
The Donald, il padre spirituale del MAGA, non ha bisogno di presentazioni. Dal 2016 non ha scalfito di un grammo la sua retorica e i suoi attacchi all’establishment sebbene il fronte anti-trumpiano sia cresciuto considerevolmente negli ultimi tre anni. A meno di un anno dalle elezioni Usa Donald Trump, al netto dei suoi guai giudiziari, continua a restare il candidato più credibile dei repubblicani, o almeno così sembrano incoronarlo i numerosi sondaggi che lo vogliono in testa, sia all’interno della corsa tra i conservatori che sull’avversario Joe Biden. Di lui sappiamo tutto vizi privati e pubbliche virtù, ma quello che potrebbe accadere in Iowa potrebbe diventare storia.
Secondo le ultime rilevazioni, il tycoon avrebbe ottenuto una percentuale superiore al 50% dei consensi e un vantaggio di oltre 30 punti sui suoi concorrenti più vicini e credibili come il governatore della Florida e l’ex governatrice della Carolina del Sud. Questo già di per sé costituisce un record, poiché nessun repubblicano non in carica è mai andato oltre il 41% dei voti nei caucus. Se a questo dato si affiancano i dati nazionali, sembra abbastanza plausibile pensare che possa sbancare in Iowa. E i numeri ci raccontano che non esiste alcun precedente storico che possa far perdere la nomination a qualcuno della posizione in cui Trump si trova in questo momento. La vittoria gli conferirebbe uno slancio cruciale verso la nomina repubblicana che potrebbe essere sigillata entro l’inizio della primavera prossima.
Unica grande incognita, potrebbe essere la bassa affluenza alle urne, che potrebbe minare la posizione dominante di Trump, corso ai ripari affrontando un programma serratissimo di manifestazioni prima del 15 gennaio: in questo impegno, tuttavia, si è mostrato meno irreprnsibile dei suoi colleghi, partecipando soltando a un paio di dozzine di incontri. Secondo il responsabile della campagna elettorale del magnate, la vittoria nello “Stato dall’occhio di falco” consentirebbe di garantirsi agevolmente New Hampshire, Carolina del Sud e Michigan, intestandosi il primato per il super Tuesday del 5 marzo. D’altra parte, se parte dello zoccolo duro del partito non sembra fargli quadrato attorno, i suoi fedelissimi non sembrano averlo abbandonato, galvanizzandosi con la strategia dei “capitani”, che sta mobilitando centinaia di volontari pronti a prendere parte ai caucus.
Ron DeSantis, il Trump “riveduto e corretto” caduto in disgrazia
Il governatore della Florida sembra aver perso smalto negli ultimi mesi, dall’altare dei sondaggi alla polvere dell’oblio. Dato come il concorrente più credibile a Trump, si trova in questo momento numerosi punti dietro l’ex presidente. Agli occhi degli elettori repubblicani, tuttavia, nelle ultime settimane sembra apparire come il più sciolto e comunicativo fra il rappresentanti del gruppo: i suoi volontari “bussatori”, infatti, avrebbero chiesto udienza sull’uscio di casa al 30% degli elettori dell’intero Iowa. La sua strategia di comunicazione in campagna elettorale non abbandona i temi caldi a cui aveva abituato i suoi sostenitori. Alcuni scivoloni sui social, oltre all’aura da duro e puro legata alla pandemia, DeSantis ora sembra condurre una comunicazione molto più soft e intimista. Se all’inizio della campagna elettorale i suoi discorsi erano filippiche al veleno contro qualcuno come le “élite” o il “Woke“, ora De Santis punta al modello di “candidato confidenziale”: “Sto lavorando sui tuoi problemi” è il suo nuovo slogan.
A quanto pare, tutti i suoi sforzi ora sarebbero concentrati lontano dalle telecamere, in contesti informali con i suoi elettori, soprattutto nei sobborghi complicati di Des Moines. Eventi durante i quali starebbe sfruttando magistralmente anche episodi della sua vita personale, come ad esempio l’aborto spontaneo subito dalla moglie Casey, come viatico per arrivare al cuore delle famiglie (e delle donne). Dalla sua, DeSantis possiede un altro asso nella manica: la sua esperienza in Iraq come jag, avvocato della Marina: e sebbene non si tratti di un veterano, annoverare quell’esperienza in cui sono morti più di quattromila soldati americani, è una strategia vincente. Che la sua tattica comunicativa sia completamente ribaltata lo si nota anche dal modo in cui affronta la “pratica” Joe Biden: quel presidente in carica del quale ora parla con profondo rispetto, ricordando soprattutto la profonda cooperazione a sostegno delle vittime dell’uragano Ian nel 2022.
Nikki Haley alla ricerca di un “ticket to ride“?
La buona stella che sembra accompagnare in queste settimane l’ex ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite potrebbe spiegarsi attraverso l’avanzata della repubblicana, soprattutto in New Hampshire, dove il 23 gennaio si terranno le prime primarie. Secondo un nuovo rilevamento della Cnn, infatti, il gap tra Trump e la Haley sarebbe sceso sotto il 10%. Dunque, colei che era ritenuta la terza in classifica dietro DeSantis – considerato a lungo l’unica alternativa credibile a Trump – ora inizia a turbare i sogni degli strateghi del magnate pronto a mettere in dubbio perfino la sua cittadinanza americana (solo perchè figlia di immigrati indiani). Alle prese con i giorni pre-caucus la Haley restituisce una doppia immagine: sembra essere preferita da un profilo ben definito, quello dei conservatori moderati, con una laurea e soprattutto con titoli di studio molto avanzati, ma più di ogni altra cosa lontani sia dal trumpismo che dal sostegno a Biden.
Ciò in cui Haley sembra essere davvero una macchina da guerra è il grande afflusso di denaro che ha generato la sua resa positiva in alcuni sondaggi nazionali e nello stato: stimolando una serie di sponsorizzazioni chiave, che vanno dal governatore del New Hampshire a importantissimi Pac. Astuta anche la sua strategia comunicativa: Haley ha scelto di non ripagare Trump con la stessa moneta, ribadendo come l’ex presidente sia stato l'”uomo giusto al momento giusto“, condividendo anche molte delle sue scelte politiche. In queste ore, tra fienili, sale da ballo e ristoranti tradizionali dell’Iowa ha scelto di prendere di mira i conservatori stremati da Trump, una coalizione complessa che comprende coloro che insultano l’ex presidente o che addirittura sono già convinti che perderà. Queste sue capacità oratorie hanno convinto molti esponenti duri e puri dei repubblicani non-MAGA che soltanto lei possa essere la candidata destinata ad abbatterlo. Questo doppio standard, però, fa credere a più di qualcuno che la candidata repubblicana stia gareggiando soltanto per strappare un passaggio sul ticket presidenziale, ambendo alla vicepresidenza.
Vivek Ramaswamy: un millennial alla Casa Bianca?
Classe 1985, imprenditore nel ramo delle biotecnologie, Ramaswamy è il più anticonvenzionale dei candidati del Gop, sebbene quello con meno possibilità di vittoria. Dalla sua ha un build-up da figlio di immigrati che hanno inseguito il sogno americano (madre psichiatra e padre ingegnere alla General Eletric) e un pedigree da self-made man. Castigatore seriale della presunta “ideologia woke“, era finito nei guai la scorsa estate per alcune dichiarazioni incendiarie sull’11 settembre. Tutto era nato da un’intervista che il candidato aveva rilasciato a The Atlantic lo scorso agosto: “Penso sia legittimo dire quanti poliziotti, quanti agenti federali, erano sugli aerei che hanno colpito le Torri Gemelle. Forse la risposta è zero”. Sebbene lo stesso Ramaswamy sia entrato in conflitto con il magazine, accusando la rivista di citarlo malamente, la querelle è legata ai documenti declassificati dell’Fbi che raccontano di come i federali, due anni fa, abbiano chiuso le indagini sui tre cittadini sauditi sospettati di aver fornito supporto e assistenza a due attentatori.
Ramaswamy è l’unico fra i suoi colleghi ad aver condotto una campagna serratissima in Iowa diventando l’unico candidato a raggiungere il “Full Grassley“, ovvero coprire tutte le 99 contee dell’Iowa (per ben due volte). Riuscendo a essere ovunque, ogni giorno, senza tralasciare nemmeno un angolo dello stato, si è dato tantissimo ai giovani dei campus universitari, lanciando comizi-sfida e utilizzando i social network. Questo, tuttavia, non basta a dargli la spinta necessaria nei sondaggi che lo seppelliscono poco sopra il 6%. La sua campagna aggressiva, che ha cavalcato numerosi refrain di Trump come America first (del quale si proclama grande sostenitore e degno erede), fa sospettare a numerosi analisti che volesse-fin dall’inizio-guadagnarsi i favori di Trump e un posto in un futuro, eventuale, gabinetto presidenziale. Accanto a lui in questo tour de force sua moglie Apoorva, che sempre più spesso viene vista agli eventi pre-caucus al posto del marito: a lei, spesso, l’arduo compito di rispondere a domande delicate, le stesse che Ramaswamy tenta di affrontare con spavalderia: la sua fede indù è una di queste, in un’America che ancora contempla con difficoltà un presidente non protestante.