Usa 2024, tutti i sondaggi sulle presidenziali americane

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Elezioni presidenziali del 2016. Sulla base dei sondaggi pubblicati nelle ultime settimane prima del voto l’agenzia Reuters assegna alla candidata del partito democratico Hillary Clinton il 90% delle probabilità di vittoria contro il suo avversario, il repubblicano Donald Trump. Inutile ricordare come sia finita in quell’occasione. Nel 2020 invece le analisi delle interviste condotte prima dell’election day intercettano in maniera corretta il sostegno diffuso nel Paese a favore di Joe Biden ma ne sovrastimano la portata. Ne deriva la peggiore debacle per i sondaggisti dalla sconfitta di Jimmy Carter del 1980. Se a questi errori clamorosi si aggiunge anche il mancato materializzarsi alle elezioni di midterm del 2022 della prevista “onda rossa” a favore dei candidati trumpiani al Congresso, appare evidente che le rilevazioni statistiche vadano maneggiate con grande cura.

Ma possiamo ancora fidarci di uno strumento che nel recente passato si è dimostrato così impreciso? La risposta è sì. A patto di non considerarlo alla stregua del cappello parlante di Harry Potter e di rivalutare cosa in precedenza non abbia funzionato.“All’indomani delle elezioni del 2016 in molti hanno dichiarato che si è verificato un disastro storico per i sondaggi” si legge nel report dell’American Association for Public Opinion Research pubblicato nel 2017. Gli autori del documento soprannominato l'”autopsia” precisano però che si tratta di una conclusione vera solo in parte. O meglio, i sondaggi a livello nazionale erano corretti. Erano le indicazioni provenienti dai singoli Stati, in particolare dal Midwest, area geografica rivelatasi decisiva, ad essere stati invece fuorvianti.

Si deve inoltre aggiungere che le indagini statistiche, in prevalenza condotte al telefono, sono per loro natura falsate: molti tra gli elettori selezionati non rispondono e, quando lo fanno, i simpatizzanti di Trump tendono a nascondere le loro preferenze. Un’ulteriore considerazione riguarda l’utilizzo dei sondaggi realizzati dai mass media nel mondo dell’informazione. “La cosa stramba è che essi sono annunciati come un evento degna di nota ma è così solo quando lo decide una redazione giornalistica” afferma Jay Rosen, professore di giornalismo alla New York University. C’è persino chi li definisce “pseudo-eventi” adoperati per costruire, o plasmare, una certa narrazione e nutrire il ciclo famelico delle breaking news.

Insomma al netto dei difetti e di un improprio utilizzo, queste rilevazioni statistiche restituiscono comunque un’istantanea degli umori degli elettori che non può essere ignorata. Quasi sempre il loro maggiore contributo è quindi il portare a galla una tendenza e il mostrare la probabile direzione politica del Paese. Ed è perciò che, nonostante tutto, sarebbe impensabile immaginare una campagna elettorale americana senza sondaggi.

I sondaggi a livello nazionale

A chiunque si appresti a leggere i dati sull’indice di gradimento a livello nazionale dei principali sfidanti, Biden per il partito democratico e Donald Trump, Nikki Haley e Ron DeSantis per il partito repubblicano, oltre a Robert Kennedy Jr sceso in pista come indipendente, conviene ricordare che essi hanno un valore di gran lunga inferiore a quelli condotti nei singoli Stati. Specialmente se parliamo di swing states.

Infatti, in base alla Costituzione americana il presidente è eletto in maniera indiretta attraverso i grandi elettori – in tutto sono 538 – e a ciascuno Stato ne è assegnato un numero diverso. Vince chi raggiunge la soglia “magica” di 270. È per questo motivo che nel 2016 la Clinton ha perso pur avendo ottenuto circa tre milioni di voti in più rispetto a Trump il quale ha raggranellato vittorie in Stati meno popolosi ottenendo però un maggior numero di grandi elettori.

Secondo il sondaggio pubblicato questa settimana da Tipp Insights in una sempre più probabile sfida diretta tra Biden e Trump i due sarebbero quasi alla pari, 40 a 41. Per Noble Predictive Insights l’ex presidente avrebbe la meglio staccando di quattro punti l’esponente democratico, 45 a 41. Per l’Economist invece i due contendenti risulterebbero entrambi inchiodati al 43% delle preferenze. Tipp Insights prova poi ad immaginare una competizione allargata ai candidati indipendenti e di un terzo partito. In questa simulazione di voto Biden otterrebbe il 34%, il miliardario il 37% e Kennedy Jr l’8%. Un dato per gli esperti difficilmente replicabile nella realtà ma che non è possibile sottovalutare.

E se il tycoon non fosse della partita? L’Economist attribuisce a Biden delle buone chance in un’eventuale competizione diretta contro DeSantis, 44 a 41, ma bisogna tenere conto che il governatore della Florida sta perdendo quota e potrebbe annunciare il ritiro dalla corsa per la Casa Bianca entro la fine di gennaio. Più incerto lo scenario in caso di confronto con l’ex governatrice della South Carolina. Per l’ultima rilevazione condotta dal settimanale britannico il vecchio Joe batterebbe Haley con un ampio distacco, 41 a 36, ma per Echelon Insights sarebbe Haley a prevalere, 45 a 41, sullo sfidante.

Oltre alle statistiche sulle intenzioni di voto generali ne andrebbero aggiunte molte altre, al momento in gran parte negative per Biden. Per esempio, quelle che evidenziano i malumori degli elettori per l’età avanzata del candidato dem, per il suo operato da presidente e per la gestione dell’economia e della politica estera. Non si può non menzionare inoltre lo sfilacciamento della coalizione progressista che quattro anni fa gli permise di vincere. Secondo Usa Today il 39% degli elettori ispanici e il 37% dei giovani sotto i 35 anni preferisce il miliardario, rispettivamente cinque e quattro punti in più del presidente. Se è impossibile non vedere segnali preoccupanti per il partito dell’asinello, non si può comunque escludere che l’imprevedibilità caratteriale e gli infiniti problemi legali di Trump non possano erodere il suo consenso tra gli indecisi e gli indipendenti.

Gli swing states: cosa dicono i sondaggi

Come abbiamo anticipato, una fotografia più puntuale dell’andamento della corsa alla Casa Bianca arriva dagli Stati in bilico nei quali, complice l’estrema polarizzazione politica presente nel Paese, il prossimo novembre si giocheranno le partite decisive. Gli Stati in bilico che nelle passate tornate elettorali si sono dimostrati determinanti per stabilire l’esito finale della competizione sono il Wisconsin, la Pennsylvania, il Michigan, la Georgia e l’Arizona. Con tutta probabilità anche quest’anno sentiremo molto spesso i loro nomi.

Wisconsin

Nello Stato del Midwest che insieme alla Pennsylvania e al Michigan ha permesso a Trump di battere la Clinton nel 2016, il sondaggio più recente commissionato da Bloomberg a metà dicembre assegna al miliardario un vantaggio di quattro punti sull’ex vicepresidente, 45 a 41. Anche in caso di competizione aperta vincerebbe Trump, 40 a 34, e Kennedy raccoglierebbe il 10% dei consensi. In una sfida diretta senza l’ex star di The Apprentice, in base al sondaggio di novembre della Marquette Law School sia DeSantis che Haley prevarrebbero sull’esponente democratico, 50 a 48 e 53 a 44.

Pennsylvania

Biden qui gioca in casa essendo nato nella città di Scranton e nel Keystone state per Quinnipiac è in vantaggio, 49 a 46, sul tycoon. In una competizione allargata alle “mine vaganti” il presidente staccherebbe Trump di appena due punti percentuali, 41 a 39, e Kennedy otterrebbe l’11% dei voti. Per il Muhlenberg College DeSantis perderebbe 39 a 41 contro il presidente ma Haley vincerebbe con un ampio margine, 38 a 33.

Michigan

Per il candidato democratico qui è profondo rosso. Secondo Glengariff Group Trump vincerebbe nel Great Lake state con il 47% delle preferenze contro il 39% dello sfidante. Per Redfield & Wilton il tycoon prevarrebbe anche in caso di apertura della corsa ai rappresentanti di partiti terzi fermandosi al 39% contro il 37% di Biden. Kennedy si attesterebbe al 9% ma un sondaggio eseguito a novembre dalla Cnn gli assegnava il 20%. L’ex governatrice della South Carolina e DeSantis batterebbero il presidente rispettivamente 44 a 34 per Glengariff Group e 49 a 42 per la Cnn.

Georgia

Se nel 2020 nel Peach state vinse Biden, a distanza di quattro anni le cose potrebbero andare in maniera diversa. Per Redfield & Wilton il miliardario vincerebbe con il 42% dei consensi contro il 34% del presidente uscente. Anche in caso di sfida aperta si registrerebbero gli stessi numeri per i due principali sfidanti mentre Kennedy si fermerebbe all’11%. Per la Cnn l’attuale inquilino della Casa Bianca batterebbe DeSantis 48 a 45 ma verrebbe affondato dalla Haley, 43 a 49.

Arizona

Pessime notizie per il partito dell’asinello anche nel Grand Canyon state. Per Redfield & Wilton Trump è al momento in vantaggio col 41% contro il 35% di Biden. Percentuali immutate per il democratico e per il tycoon in una corsa aperta con Kennedy che raggiungerebbe il 10%. Per Noble Predictive Insights DeSantis vincerebbe col 40% dei voti contro il 37% del presidente mentre secondo il sondaggio pubblicato dal New York Times a novembre Haley trionferebbe col 45%, ben lontana dal 38% dell’ex vice di Obama.

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