Dopo i bombardamenti anglo-statunitensi che hanno avuto luogo nella notte tra giovedì e venerdì verso lo Yemen, al fine di neutralizzare gli attacchi dei ribelli Houthi, è aumentata sensibilmente la preoccupazione nei confronti di una escalation e di un allargamento del conflitto in corso in Medio Oriente che potrebbe avere conseguenze pesantissime a livello globale, non solo a livello geopolitico ma anche economico.
L’azione militare di Usa e Regno unito è avvenuta in risposta agli attacchi perpetrati nelle scorse settimane dai gruppi di ribelli sostenuti da Teheran, che da anni fomentano una guerra civile in Yemen, Paese situato all’estremo sud della Penisola Arabica e di fatto dilaniato da una sorta di conflitto «per procura» che vede opposti Arabia Saudita (culla dell’Islam sunnita) e appunto Iran (che è invece punto di riferimento dell’Islam sciita). I mirati interventi dell’aviazione britannica e americana sembrano legittimati dagli attacchi che nei giorni scorsi avevano preso di mira navi militari di stanza nel Mar Rosso. In più, Londra e Washington hanno deciso di agire anche per cercare di sbloccare la situazione che ormai da alcune settimane impedisce il transito alle navi mercantili che, quotidianamente, attraversano la regione passando per il Canale di Suez.
Una rotta fondamentale per il commercio globale (vale il 12% dei traffici mondiali) e che, solo nella prima settimana di gennaio, ha visto calare del 90% il transito di navi mercantili rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. I danni economici a livello mondiale potrebbero essere estremamente pesanti: l’impossibilità di usare la rotta di Suez comporterebbe circumnavigare l’intero continente africano con un netto aumento di tempi e costi di trasporto delle merci da e per l’Asia. Si tratterebbe di una circostanza da scongiurare in ogni modo, a partire dalle ricadute economiche in un momento in cui l’inflazione sta finalmente calando e l’economia globale sembrava vicina a trovare un po’ di pace dopo i «mari tempestosi» attraversati negli ultimi quattro anni. E anche perché queste vicende, molto probabilmente manipolate, rischiano di distogliere attenzione e risorse dal conflitto russo-ucraino, con il risultato di abbandonare Kiev a se stessa e di favorire Mosca.
Cosa attendersi dunque dopo questo allargamento della crisi? I piani di analisi sono molteplici. Innanzitutto c’è il conflitto tra Israele e Hamas, che sembra destinato a proseguire nonostante i recenti sforzi del Segretario di Stato Usa Antony Blinken per favorire un cessate il fuoco. Tel Aviv è decisa a debellare Hamas, ma nel frattempo le incursioni israeliane si sono estese anche a nord verso il Libano dirigendosi contro alti esponenti di Hezbollah. C’è poi la questione dello Yemen e del conflitto (per ora implicito) con l’Iran: messo in un angolo da anni a causa delle pesanti sanzioni comminate dagli Usa, il regime degli ayatollah si è sempre più radicalizzato con il risultato di aumentare ulteriormente l’instabilità nella regione. Infine, ci sono le rivalità tra Paesi interne alla regione, e che sono caratterizzate non solo dall’ostilità più o meno comune contro Israele, ma anche (e soprattutto) dalla frattura tra sciiti e sunniti.
Si tratta quindi di un quadro estremamente complicato che potrebbe diventare facilmente una polveriera pronta a esplodere. Ecco perché, mai come in questa fase, dovrebbe essere la diplomazia a prevalere mantenendo fermo l’obiettivo di pervenire alla soluzione «due Stati, due popoli», coinvolgendo attivamente a questo riguardo altre potenze regionali come l’Arabia Saudita. Sul campo, sarebbe poi importante mantenere separate le operazioni militari a Gaza evitando che si allarghino ad altri scenari, a partire dal Libano, che hanno poco a che fare con l’attacco terroristico del 7 ottobre. Anche l’Italia dovrebbe ambire a giocare un ruolo: ovviamente senza partecipare ad operazioni militari, ma assicurando attività di protezione per garantire la libera circolazione delle navi in acque internazionali. Obiettivo tutto sommato non irraggiungibile considerato lo squilibrio delle forze in campo a meno che non si arrivi ad un conflitto allargato a tutta la ragione speriamo per ora inimmaginabile.