È più importante vincere o essere felici? «Confesso: questa domanda mi sembrava solo una frase ad effetto – considera Raoul Bova – uno slogan retorico. Solo dopo ho capito che sintetizza una profonda verità». Vincono ma non sono felici, perché hanno battuto dei record ma non hanno ancora battuto sé stessi, i campioni paralimpici de I fantastici 5: la nuova serie in otto puntate, al via da mercoledì 17 su Canale 5, in cui Raoul Bova allena un gruppetto di medagliati disabili, «già arrivati, dal punto di vista sportivo ma ancora irrealizzati da quello umano».
Riccardo (questo il suo nome) «non è infatti il tipico allenatore delle fiction a soggetto sportivo: il supereroe che prende dei ragazzi demotivati trascinandoli al grande risultato – racconta l’attore – Lo sfigato, all’inizio, è proprio lui. Divorziato, con due figlie adolescenti che lo disistimano, malsopportato e perfino deriso dai suoi cinque atleti paralimpici già famosi, che lo considerano superfluo e mediocre». Riccardo saprà crescere ai loro occhi solo quando riuscirà, con pazienza e passione, a curarne non l’handicap fisico, che loro hanno da tempo superato, ma le contraddizioni interiori. E allora arriveranno anche i successi sportivi. «Un cambio di prospettiva fondamentale – fa notare Bova che non solo rende la storia molto più originale. Ma soprattutto non la pone come commiserevole o pietistica, nei confronti della disabilità. Al contrario: reattiva, concreta, propositiva. Gli atleti disabili non vogliono essere compatiti né esaltati. Semplicemente riconosciuti come atleti». Attenzione, dunque: il tema de Ifantastici 5 è solo apparentemente quello della disabilità: «Dopo averlo interpretato mi sono reso conto che tutti abbiamo una disabilità da superare. Fisica e visibile alcuni, interiore e nascosta altri. Quindi il vero tema di questa serie è la vittoria sui propri limiti. Anche senza ottenere per forza un record. Battere sé stessi, prima ancora dell’avversario». E per Raoul Bova, qual è stata la disabilità da vincere?
«L’eccessiva emotività. Ha rovinato gran parte del mio passato sportivo. Quando salivo sul blocco di partenza ero talmente teso da essere già stanco. Non l’ho ancora superata del tutto. Ma oggi riesco a conviverci». Un altro limite psicologico dell’attore (soprattutto agli inizi): le critiche. «All’inizio della carriera volevo piacere a tutti. Poi, con gli anni, quando nella vita accumuli altre certezze – la famiglia, i figli, i risultati professionali – allora il consenso conta meno. E molto di più la consapevolezza di aver dato il massimo».
Interpretare questo ruolo ha significato per Bova «assumersi delle responsabilità. Sentivo che può essere d’ispirazione per chi, vivendo difficoltà di qualsiasi genere, vedrà Ifantastici 5. Per questo nella mia carriera interpreto raramente ruoli negativi, o da cattivo. Vorrei sempre che le mie storie aiutassero chi le guarda a migliorarsi». C’è stato un momento, nella vita di Raoul Bova, in cui ha imparato a considerare la disabilità come una forma di diversità, più che di limitazione? «In realtà fra me e l’handicap non ho mai sentito una grande distanza. A scuola il mio migliore amico era un ragazzino sordomuto. Studiavamo, nuotavamo, andavamo in vacanza: facevamo tutto, assieme. E quando parlavamo ci capivamo lo stesso, perfettamente. È stato lì che ho capito che, di fronte alla disabilità, ci vuole solo un po’ più di pazienza e di amicizia. E alla fine la barriera crolla da sola».