“Odio contro i morti di Acca Larentia”

"Odio contro i morti di Acca Larentia"

Era il 7 gennaio di 46 anni fa, in via Acca Larentia, a Roma. Tra quei ragazzi che uscivano dalla sezione del Msi e che vennero accolti dalle raffiche di una mitraglietta imbracciata da terroristi rossi, c`era anche lui. Vincenzo Segneri oggi ricorda e racconta, un privilegio che non è toccato ai suoi amici Franco Bigonzetti, 20 anni, raggiunto da un proiettile all`occhio e morto sul colpo, o a Francesco Ciavatta, 18 anni, colpito alle spalle mentre tentava di mettersi in salvo e morto in ospedale, poco dopo. Quella stessa sera e nello stesso luogo venne freddato da un colpo sparato ad altezza d`uomo, in uno scontro con le forze dell`ordine, anche Stefano Recchioni, 19 anni. Segneri era già in ospedale, ferito a un braccio ma salvo perché, con gli altri due superstiti dell`attacco, era riuscito a rientrare in sezione. Per quella strage, per quei tre morti, dopo quasi mezzo secolo non c`è ancora un colpevole. Ma anche quest`anno a far rumore sono stati i saluti romani dei presenti alla commemorazione. «Credo che il fallimento funzionale della democrazia contemporanea – spiega Segneri al Giornale – abbia bisogno dell`uomo nero da sbandierare come pericolo. Le polemiche di questi giorni sono uno degli elementi della disinformatia che gli avversari politici, presunti detentori del monopolio culturale, continuano a usare strumentalmente. Soprattutto adesso che il timone del Paese è retto dal centrodestra».

Sulla strage di Acca Larentia lei ha scritto un libro, «La Metamorfosi di un Paese»: che lettura dà di quell`evento?

«Il terrorismo degli anni di piombo fu lo strumento utilizzato dalle frange estreme del comunismo per sovvertire l’Italia liberal-democratica del boom economico che si basava su valori come merito, onestà, lealtà, dovere, laboriosità, imprenditorialità, progettualità – ma anche amore, matrimonio e sacralità della vita – per cedere il passo a una collettività composta da una futile massa di indistinti, nella quale capacità e merito contano poco e in cui la responsabilità della propria sopravvivenza – invece che guadagnata – viene pretesa da terzi come fosse un diritto. Il clima di intimidazione di quegli anni, oltre alle vittime che provocò, fu il terreno fertile nel quale vennero approvate leggi o promossi referendum che sancirono la fine del sistema liberal-democratico e l`inizio di un sistema socialista oggettivamente degenerativo che ha portato per esempio al voto di scambio, ad un irrecuperabile debito pubblico e alla crisi della natalità. La decimazione della popolazione italiana, infatti, non è data dalla sfortuna o dalla infertilità ma dallo sterminio di 10 milioni di nascituri che l’Italia ha contato dalla data di approvazione della “legge” sull`aborto a oggi».

La strage di Acca Larentia è stata uno spartiacque, aprendo la via alla lotta armata anche a destra. Lei era solo un ragazzo: cosa ricorda di quei momenti? In che modo hanno cambiato la sua vita?

«In quegli anni professarsi di destra era puro masochismo, essere militanti richiedeva un coraggio fuori dal comune e aveva serie conseguenze. Le fila di chi si opponeva alle intimidazioni, agli espropri proletari, ai saccheggi erano veramente ridotte. In quella comunità sotto attacco si saldarono rapporti di amicizia molto forti. L`efferatezza dei crimini comunisti e il senso di ingiustizia portarono molti a varcare il confine tra il bene e il male e a rovinare anche la propria vita. Lo shock dei momenti della strage, la vista della morte dei miei amici, l`indifferenza e l`ostilità, il disprezzo se non la perfidia che ci circondava – Ciavatta, abbandonato sulla barella accanto a me in ospedale, spirò davanti ai miei occhi, vidi il cadavere di Bigonzetti che era stato esposto in modo macabro ai fotografi, sentii gente esultare nelle radio per l`attentato – hanno lasciato in me un`amarezza profonda che mi ha fatto prendere coscienza della crudeltà umana. Per di più, a causa della “notorietà”, subito dopo la strage, persi il posto di lavoro nell`officina meccanica nella quale lavoravo. Un fatto che nella mia vita, ancora oggi, ha un riflesso condizionante».

Pensa che ci sarà mai modo di considerare i fatti di sangue degli anni di piombo eventi di una memoria collettiva, condivisa e trasversale? O avremo sempre da un lato raduni con celtiche e braccia tese e dall`altro bandiere rosse e pugni chiusi?

«Non credo ci possa essere mai una vera pacificazione, se non si rivedono i principi base della vita. Le divisioni politiche, anche se non portate all’estremo, vertono su questo punto: vivere secondo il proprio impegno utilizzando le proprie capacità fisiche ed intellettive o contare sulla politica per sopravvivere accaparrando per sé risorse altrui? Questo, e non la forma che la mano prende, sarà per me lo spartiacque che distinguerà i buoni dai cattivi».

Leave a comment

Your email address will not be published.