Nazione nata dalla Shoah. Che infamia

Israele: "Hamas pianificava attacchi all'estero". Ecco gli obiettivi in Europa

Ieri la Corte dell’Aja, comunque finisca, si è screditata agli occhi dell’opinione pubblica internazionale: tutte quelle vestaglie e parrucche non copriranno il fatto che per la prima volta ha accettato di discutere le accuse presentate contro un Paese democratico e liberale da un Paese corrotto che ha fornito il suo megafono a un’organizzazione terrorista. Lo scopo è politico: mettere in questione il diritto di Israele a combattere, a difendersi dall’attacco genocida di Hamas del 7 ottobre. Nell’ombra l’Iran ed Hezbollah. Russia, Somalia, Cina, tutto l’asse antioccidentale può, secondo la tradizione dell’Onu, votare perché Israele fermi la guerra e quindi si metta in moto il consiglio di Sicurezza per obbligare Israele a ubbidire, costringendo così Biden a fare uso del veto, evento mortificante. Israele è in sé, come stato ebraico, il contrario del genocidio: è la rinascita dal genocidio della Shoah. Dal 1948 ha cercato la condivisione trovando il rifiuto palestinese. In questa guerra avverte i civili, fornisce i beni fondamentali, rallenta per evitare l’uccisione di innocenti. L’alto numero di morti è fornito dal ministero agli ordini di Hamas.

Sul confine le famiglie gridano con un megafono ai loro cari sperando che la voce voli a Gaza. Sul Daily Mail appaiono 4 ragazze insanguinate, ostaggi come gli altri 132. Alla tv un eroe che ha salvato i sopravvissuti di Re’im, racconta. Una madre torna nella stanza in cui le hanno ucciso il figlio. Alcuni soldati stanchi raccontano l’eroismo dei caduti. Questa è Israele oggi, dal 1948 la patria nata dopo la Shoah, subito assalita dagli arabi, in guerra contro il rischio genocida di Hamas, la patria dell’unico never again che non verrà distrutto dalla Cpi.

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