Da Zan alla Ferragni: cosa c’è dietro il business arcobaleno

Da Zan alla Ferragni: cosa c'è dietro il business arcobaleno

Sotto i colori della bandiera arcobaleno c’è davvero di tutto. C’è un attivismo convinto e battagliero, ma tavolta di facciata. Ci sono slogan e obiettivi di natura politica, ma c’è anche chi in quell’ambito promuove, organizza o gestisce attività commerciali. Chiariamolo subito, a scanso di equivoci: su queste pagine mai biasimeremo chi fa impresa e ne trae un lecito profitto, ma in questo caso la riflessione riguarda piuttosto il solerte fiuto di quanti hanno capito che il variegato mondo delle battaglie Lgbtq poteva offrire spiragli per avviare progetti e nuovi business.

Lo spunto ci è dato dalle recenti attenzioni suscitate da una campagna arcobaleno sostenuta da Chiara Ferragni, già paladina delle istanze progressiste in favore dei diritti civili. Nel 2022, oltre ad aver sostenuto economicamente Arcigay Milano e aver sensibilizzato i suoi follower sulle tematiche dell’inclusione, l’influencer aveva anche creato una linea di ciondoli arcobaleno messi poi in vendita. “Acquistando uno dei pezzi della collezione contribuirai, insieme a Ferragni, a sostenere il progetto Scuola di Cig Arcigay Milano…“, veniva spiegato. Ma poi, secondo quanto ricostruisce e ipotizza Repubblica, il confine tra la solidarietà e il business sarebbe rimasto incerto nelle sue proporzioni.

Ora, non siamo interessati ad alimentare dietrologie o speculazioni su quel caso, ma piuttosto ci limitiamo a domandare: se l’influencer aveva così a cuore la causa Lgbtq, non poteva devolvere l’intero ricavato delle vendite? Il suo florido impero economico non ne avrebbe risentito. Allo stesso modo, anche altri si sono lanciati in attività di carattere commerciale sventolando la bandiera arcobaleno. Nelle scorse settimane, ad esempio, la trasmissione Report aveva acceso i riflettori sull’onorevole Alessandro Zan, socio di maggioranza della società che organizza il Pride Village di Padova e che nel 2022 ha incassato più di un milione e 300mila euro.

Interpellato da Report sull’opportunità di avere una società con un giro d’affari sugli stessi temi per i quali egli si batte in Parlamento, l’onorevole aveva precisato: “Non ho mai percepito alcun guadagno dalla manifestazione (…) ho prestato il mio nome per dare una mano, ma lo faccio per spirito di servizio, a titolo gratuito“. Nessun conflitto d’interessi dunque e gli incassi – aveva spiegato in una nota – “vengono ogni anno utilizzati per consentire la realizzazione e la sostenibilità della manifestazione stessa“.

E così, aveva respinto ogni attenzione la collega parlamentare Michela Di Biase, alla quale sempre Report aveva contestato di aver istituito anticipatamente una società dedicata alla consulenza per la certificazione della parità di genere, prima dell’emanazione di una legge appositamente dedicata. Ai microfoni del programma Rai, la deputata aveva negato fermamente che quel tempismo fosse stato favorito dalle sue connessioni politiche. “Né personalmente né a nome di ‘Obiettivo Cinque’ ho mai avuto interlocuzioni con politici finalizzate all’approvazione della certificazione di parità nel codice dei contratti. Inoltre non ero in Parlamento quando è stata approvata la legge“, aveva rimarcato.

Tra società, beneficenze, guadagni (sempre legittimi, per carità) e consulenze, si scorge così un lato del mondo pro-Lgbtq forse meno conosciuto ai più.

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