Un’orgia di errori su Evola e le donne

Un'orgia di errori su Evola e le donne

Chi è stato il «cattivo maestro» dei giovani e della cultura di Destra in Italia? Per Mirella Serri, autrice del libro Uomini contro. La lunga marcia dell’antifemminismo italiano (Longanesi), non ci sono dubbi. L’apologeta del fascismo razzista, l’ideologo del terrorismo nero, il fomentatore di stupri e omicidi contro le donne è stato uno solo: Julius Evola. Anzi, è da lei addirittura definito il sommo «teorico dell’orgia», utilizzando un’espressione bigotta e patriarcale del mondo democristiano degli anni Cinquanta, e le sue idee antifemministe sono state così potenti che «si sono trasformate in sangue, carne e distruzione». Nel libro tutto ruota attorno a questa visione paradossale: da filosofo che non voleva discepoli, Evola diventa il guru di fanatici terroristi e stupratori di ragazze inermi (cosa già smentita nel 1998 da Gianfranco de Turris nel suo libro Elogio e difesa di Julius Evola. Il barone e i terroristi). È un pasticcio, un insieme d’ingredienti che rendono la ricetta della Serri un piatto mal cucinato per chi non conosce il filosofo tradizionalista; nemmeno lei, d’altronde, dimostra di essere a conoscenza di una figura complessa come quella evoliana, lasciando intuire perché, sino ad ora, non abbia mai scritto un testo davvero scientifico sulla sua opera.

Procediamo seguendo i quattro capitoli dedicati al caso Evola, anche se ne basta uno, «Julius, il filosofo dell’orgia», poiché attorno ad esso ruota la sua visione di padre di tutti i terroristi e assassini di destra. Secondo la Serri tutto è cominciato dopo il Fascismo, quando, all’inizio degli anni Cinquanta a Bologna, venne invitato a presenziare a una riunione di giovani missini: lì sarebbe stato acclamato come il nuovo duce dei neofascisti (ricordiamo che Evola non era neanche iscritto al Partito Nazionale Fascista). In verità, Evola assistette alla II Assemblea del Raggruppamento Giovanile Studenti e Lavoratori organizzata dal Msi in Emilia Romagna, e fu accolto dall’applauso di alcuni giovani nonostante i richiami del dirigente nazionale dell’organizzazione Cesco Giulio Baghino e del segretario del partito Augusto De Marsanich, i quali non nutrivano nessuna simpatia verso il pensatore tradizionalista. E la Serri non ricorda che in seno al Movimento Sociale Italiano, Evola è sempre stato odiato per le sue posizioni antitetiche alla visione politica dei dirigenti, che ambivano a far nascere un governo cattolico e conservatore con l’appoggio della Democrazia Cristiana.

Allora Evola fu avvicinato da alcuni membri dei Fasci di Azione Rivoluzionaria e collaborò alla rivista Imperium oltre a scrivere un pamphlet, Orientamenti, invitando i giovani ad attuare una rivoluzione interiore senza affidarsi a facili ricette estremistiche. Questo generò un misunderstanding che coinvolse Evola nel Processo dei Far, dove per la cronaca fu portato non in barella (come afferma Serri) ma su di un lenzuolo e fu accusato di essere la guida dell’eversione nera italiana. Ammise invece di essere fascista se venivano riconosciute come fasciste le idee espresse da Platone, Socrate, Metternich e altri pensatori e filosofi del passato. Fu in seguito amnistiato da Palmiro Togliatti, grazie alla legge già promulgata con decreto presidenziale nel giugno 1946.

Quest’episodio, che dimostra il carattere anticonformista della sua figura, per la Serri rappresenta invece un primo passo verso il baratro. Evola viene dipinto come un drogato animato da un forte spirito antidemocratico. Ma l’autrice dimentica ch’egli sperimentò per scopi creativi e noetici sostanze allucinogene (come avevano fatto Aldous Huxley, Ernst Jünger, William Burroughs e molti altri artisti e intellettuali, senza che nessuno li condannasse), e fu così antidemocratico da collaborare nel 1925 alla rivista Lo Stato Democratico del duca Giovanni Colonna di Cesarò, aventiniano e antifascista, cosa che gli causò parecchi problemi con l’Ovra, la Polizia politica del Regime, le cui diffamazioni vengono recuperate con disinvoltura dall’autrice di questo libro, in un intransigente processo alle intenzioni.

La ricostruzione del percorso esistenziale e creativo evoliano è infarcita di errori marchiani, come il fatto di sostenere che egli non amasse il Futurismo senza precisare però che era stato futurista, mentre viene inspiegabilmente quasi elogiata la sua adesione al Dadaismo, del quale fu il massimo esponente italiano. Soprattutto, pare strano che la Serri rimanga turbata dal fatto che, da dadaista, Evola si trasformasse en femme (viene spontaneo domandarsi se la tanto sbandierata fluidità sia da lei giudicata a seconda di chi la vive…), laccandosi le unghie di verde, e non di viola (come asserisce la scrittrice), perché probabilmente credeva che fosse più facile in questa maniera associare l’immagine di Evola a quella di un demone o forse di una strega. E quando Evola decise di abbandonare l’Arte per dedicarsi a studi di natura esoterica e filosofica, annunciò sì il suo suicidio, ma fu un suicidio metafisico che la Serri omette di indicare come tale. Già, perché così facendo trasforma i suoi gesti extra-artistici in problemi psico-patologici, interessandole soltanto la presunta mente criminale di Evola.

Anche quando il problema si focalizza sulle affermazioni evoliane relative al ruolo della donna, la Serri cade in errore perché attribuisce un paio d’interventi di Francesco Carnelutti a Evola, tra l’altro pubblicati correttamente nell’unico libro da lei citato: Il filosofo in prigione. Documenti sul processo a Julius Evola (Oaks, 2021). Confonde le parole antifemministe del principe del foro romano Carnelutti nel suo libro di memorie Tempo perso (Sansoni, 1959), con quelle del filosofo tradizionalista.

In Uomini contro tutto lascia pensare che Evola avesse voluto, in chissà quale modo, ostacolare l’inserimento delle donne nella vita intellettuale, artistica, politica e quotidiana del nostro Paese, e far sì che queste venissero eliminate con uccisioni, stupri, o sottoposte a costanti violenze, preannunciando la triste pratica oggi conosciuta come femminicidio.

A fare da sponda a questa teoria infondata è un libro scritto nel 1958 proprio da Evola, Metafisica del sesso, dove un breve capitolo è dedicato allo studio storico, mitologico e antropologico dell’orgia. Nell’immaginario dell’autrice quelle pagine stanno alla base della violenza scatenata contro le donne dai neofascisti negli anni Sessanta e Settanta. Perché a suo dire Evola era un isolato, un pazzo che si era rinchiuso al buio della sua casa e chi frequentava la sua abitazione, peraltro aperta a chiunque, come Cesare Zavattini e Federico Fellini, per citare solo alcune delle personalità che la Serri volutamente ignora, erano invece soltanto criminali e terroristi, naturalmente di destra.

La Serri avvalora le sue tesi ricorrendo ad Almirante, perché a suo dire definisce Evola «il nostro Marcuse» reputandolo difensore dell’«amore libero di destra» e della «mistica dell’orgia». In realtà, il paragone con Marcuse è stato pronunciato dal leader politico che riconosceva la complessa filosofia evoliana della storia come alternativa culturale a quella marxista e marcusiana. Inoltre la Serri sembra ignorare che sul quotidiano del Movimento Sociale il Secolo d’Italia, Amalia Baccelli, in quanto responsabile della Sezione Femminile Nazionale del partito, sulla pagina dedicata alle donne, e in più occasioni, difese l’amico Evola dall’accusa di misoginia. L’autrice riporta persino informazioni errate come il fatto che Evola avesse letteralmente occupato l’appartamento della contessa Baccelli fino alla morte di lei: la Baccelli morì nel 1984, dieci anni dopo Evola.

Ancora, la Serri asserisce che Evola fece da «battistrada» al crimine di Angelo Izzo, di Andrea Ghira e di Gianni Guido, autori del Massacro del Circeo, quando questo avvenne dopo la sua morte, nel 1975. Il termine «battistrada» è un espediente per cercare di attribuire a Evola il ruolo di ideologo nero. Per questo dietro a un instant book come Uomini contro, che va letto nel caso di Evola come un romanzo di fantasia, si cela qualcosa di più grave: l’incapacità di documentarsi dell’autrice, che finisce per attribuire a Evola opinioni che non gli appartengono e gesti e fatti e che non sono mai avvenuti.

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