Gli ultimi in termini di tempo sono stati i contadini tedeschi: migliaia di trattori incolonnati all’uscita delle autostrade, intere zone bloccate, rifornimenti a singhiozzo per negozi e supermercati. E non è finita qui, almeno secondo il presidente della Dbv (Deutsche Bauernverband, l’associazione che riunisce il 90% delle aziende agricole): «Il mese di gennaio sarà caldissimo. Organizzeremo proteste come la Germania non ha mai visto». Toni da barricata inconsueti per un’associazione da sempre vicina a conservatori e tradizionalisti della Cdu/Csu, la Dc tedesca. Nelle settimane scorse è invece toccato ai francesi: all’insegna del motto «on marche sur la tête», camminiamo a testa in giù, un modo di dire usato per descrivere una situazione assurda e insostenibile, gli aderenti alla Fnsea, maggiore associazione agricola, hanno attuato una inconsueta forma di disobbedienza civile: dopo aver staccato migliaia di cartelli stradali li hanno rimontati al contrario. Prima ancora a muoversi erano stati i contadini polacchi, ungheresi e rumeni, che avevano addirittura mobilitato le diplomazie internazionali per fermare il grano in arrivo dall’Ucraina che rischiava di destabilizzare i rispettivi mercati. E l’elenco potrebbe continuare.
Abituata a fare i conti con scioperi e agitazioni in partenza da fabbriche e periferie industriali l’Europa si trova da qualche tempo a dover gestire un nuovo soggetto politico, deciso ad alzare la voce più che in passato: gli agricoltori. Non che il fenomeno sia del tutto nuovo: da sempre gli abitanti di Bruxelles considerano i blocchi stradali dei contadini in arrivo da ogni landa continentale, con migliaia di balle di fieno disseminate per le strade della capitale belga, un temutissimo classico in grado di paralizzare il traffico cittadino.
Un tempo, però, l’appuntamento con le proteste era quasi fisso e coincideva con la ridiscussione periodica della politica agricola comune (in sigla Pac), quando la destinazione dei sussidi agricoli (arrivati a superare il 60% del bilancio comunitario e ora scesi al 30% circa) suscitava battaglie all’arma bianca tra un governo e l’altro, nonchè tra contadini e Commissione europea.
Ora, invece, le situazioni di disagio si sono parcellizzate: in Germania a dar fuoco alle polveri è stata il taglio dei sussidi per il carburante, in Francia una stretta sui prodotti fito-sanitari. A contribuire alla generale fragilità del settore sono alcuni fattori comuni: per molti Paesi la prospettiva di un ingresso nella Ue dell’Ucraina con le sue enormi superfici coltivate, per tutti l’esigenza di far fronte alle sempre più pressanti richieste di un movimento ecologista che ha spinto sempre più in là le proprie richieste. Il tutto in un contesto di mercato più che precario, con costi al rialzo e prezzi stagnanti o in calo.
La situazione di potenziale debolezza ha dato la scossa alle iniziative di lobbying del settore. In Italia l’attivismo della Coldiretti e del suo presidente Ettore Prandini ha fatto parlare di un nuovo collateralismo come quello tradizionale dei tempi della vecchia Dc. In Olanda, al contrario i contadini hanno deciso di scendere nell’agone politico in prima persona: il loro movimento, Bbb, partito civico contadino, ha partecipato anche alle ultime politiche ottenendo un pugno di seggi. Potrebbero bastare per far sentire la voce delle campagne in un prossimo governo.