Vincitori e vinti. Comunque vada l’eventuale riapertura del processo sulla Strage di Erba, l’idea che un atroce crimine possa diventare un clamoroso abbaglio giudiziario è una sconfitta per la giustizia.
Una volta incardinata alla corte d’Appello di Brescia, la mattanza che l’11 dicembre costò la vita a quattro persone non è più (solo) un affare per giornalisti e criminologi, ma il capitolo di una lotta interna alla magistratura. Da un lato ci sono proprio i giudici di Brescia, che con coraggio hanno deciso di vederci chiaro e di dare credito sia alla richiesta di revisione dei legali, sia quella del sostituto procuratore generale Cuno Tarfusser, la cui pervicacia nel sostenere la necessità di un nuovo processo potrebbe costargli cara, visto che per aver parlato coi legali e letto le carte è sotto procedimento disciplinare. Lui ne esce vincitore, perde clamorosamente la Procuratrice generale di Milano Francesca Nanni: ha fatto la guerra al suo sostituto per averla scavalcata, facendo carta straccia del «regolamento organizzativo» pur di partorire una richiesta di revisione a suo dire «inammissibile». Purtroppo Brescia non la pensa così e l’ha sbugiardata, mandando un segnale chiaro a Milano, già nel mirino per i casi Amara-Storari-De Pasquale. La Nanni ieri ha tentato di girare la frittata: «L’approfondimento è opportuno considerando la delicatezza del caso, il grande rilievo mediatico e visto che la difesa ha presentata un’ulteriore richiesta con altri elementi», fa sapere all’Agi. Ne esce con le ossa rotte anche la Procura di Como, che si era irritualmente ribellata alla richiesta di revisione di Tarfusser e dei legali, laddove si ipotizzava anche una possibile «frode processuale». Come farà il Csm a decidere sulla nomina del capo della Procura, adesso che proprio Massimo Astori, pm delle indagini su Erba, è in pole per guidarla? E come farà il Csm a sanzionare Tarfusser, visto che il vicepresidente Fabio Pinelli ha nel suo mandato il progetto di restituire l’autonomia dei sostituti rispetto ai capi delle procure? È giusto punire chi ha presentato una richiesta considerata ammissibile e probabilmente fondata?
Anche il ministero della Giustizia Carlo Nordio rischia di uscirne malissimo: cosa farà adesso, visto che in passato – vedi la distruzione di alcune prove, le intercettazioni sparite e il ruolo della Fenefin, società anonima dietro la Waylog che quei brogliacci ha «smarrito» – Via Arenula è già stata chiamata in causa ma ha fatto spallucce. Vince Fabio Schembri, avvocato a capo del pool di legali e consulenti che da anni lavora gratis per salvare i suoi assistiti «dentro» i processi. È riuscito a ottenere l’udienza per la revisione dopo 12 anni dalla condanna definitiva, rinunciando alla strategia delle «piazzate» lavorando in silenzio e senza clamori. Perdono i giornaloni, smarriti nel dover ammettere che qualcosa nelle sentenze e nelle prove, così strenuamente difese, non torna affatto se la Corte d’appello di Brescia ha deciso per la revisione. Al netto di qualche sfondone (il Corriere blatera di impronte digitali inesistenti nelle carte), persino il «colpevolista» Gianluigi Nuzzi masticando amaro ha confessato a Retequattro che alcune prove sono effettivamente state raccolte «in modo traballante».
E la politica si interroga. «Se emergesse l’innocenza di Olindo e Rosa, li avremmo tenuti dentro per tantissimi anni con un’accusa terribile», sottolinea il vicecapogruppo Fdi alla Camera, Alfredo Antoniozzi. Un eventuale sviluppo «innocentista» potrebbe forse convincere la maggioranza ad accelerare sulla riforma della giustizia, oltre a lasciare un senso di smarrimento: il ritorno della possibile pista ‘ndrangheta e traffico di droga come movente del massacro, frettolosamente archiviata dai pm, rientra nel filone «allarme sicurezza» caro a Giorgia Meloni.