“Un dovere morale” contro “il caso Dreyfus del XXI secolo”. È iniziato all’Aja il procedimento che dovrà stabilire se la guerra condotta da Israele a Gaza sia un genocidio. La Corte internazionale di giustizia (Cig), l’organo delle Nazioni Unite che si occupa di dirimere le controversie tra gli Stati aderenti, dovrà esaminare la denuncia presentata dal Sudafrica che chiede “misure provvisorie” urgenti. Il caso è senza precedenti, visto che mai prima d’ora Tel Aviv ha accettato un giudizio internazionale e si è difesa in un processo.
Il team dell’accusa è formato dal ministro della giustizia di Pretoria Ronald Lamola, giurista sudafricana Adila Hassim, da diplomatici ed esperti politici. Tra questi, l’ex leader laburista inglese Jeremy Corbin, travolto dalle polemiche quando si è rifiutato di definire Hamas come un’organizzazione terroristica. Lo Stato ebraico si è invece affidato ad una squadra composta da cinque avvocati internazionali, capeggiata dall’accademico britannico di Cambridge Malcolm Shaw. Per quanto riguarda la struttura della Cig, essa è composta da 15 giudici di cui due possono essere nominati dal Paese chiamato in causa. Il premier Benjamin Netanyahu ha scelto l’ex presidente della Corte suprema israeliana Aaron Barak, 87enne scampato alla Shoah in Lituania che ha iniziato la sua carriera lavorando ai tempi del processo Eichmann. La sua decisione è stata contestata dai ministri più estremisti del governo di emergenza di Tel Aviv, visto che l’anziano giudice non si è mai tirato indietro dal criticare i nazionalisti, gli ultrareligiosi e la controversa riforma della giustizia voluta proprio da Bibi.
L’obiettivo del leader di Tel Aviv, che giudica “infondate e oltraggiose” le accuse di genocidio, è evitare qualsiasi ordine restrittivo che lo costringa a rallentare o fermare la guerra. È difficile, però, che venga avanzata una richiesta formale di cessate il fuoco. Ciò che i giudici possono fare è emettere un’ingiunzione contro Israele, intimare al Paese di ridurre “i gravi danni fisici e mentali” inflitti alla popolazione di Gaza, indurlo a consentire l’ingresso di volumi maggiori di aiuti umanitari o avviare un’inchiesta indipendente. Inoltre, anche nel caso in cui il pronunciamento della Corte dovesse definire la guerra come genocidio, lo Stato sotto processo può ignorarlo come già fatto dalla Russia di Vladimir Putin nel 2022 o dal Myanmar nel 2019. Il procedimento potrebbe comunque durate tra i quattro e i sei anni, anche se vi è la possibilità di arrivare all’emissione di un’ingiunzione urgente e vincolante in uno o due mesi.
Per quanto riguarda i due schieramenti, Israele è sostenuto dalla maggior parte dei Paesi europei e dagli Stati Uniti, che hanno già definito “totalmente infondata” l’accusa tramite il segretario di Stato Antony Blinken. La Gran Bretagna, invece, ha adottato una posizione più grigia. Il ministro degli Esteri David Cameron ha criticato i sudafricani, ma ha ipotizzato che “a Gaza gli israeliani potrebbero aver commesso crimini di guerra”. Pretoria, invece, è spalleggiata dai Brics, tutti Paesi che sostengono la Striscia, e dalla Lega Araba. Da parte sua, Hamas ha esortato la Corte a non piegarsi “alle regole dettate dagli Usa, perché Washington continua a guardare la questione Gaza attraverso una visione israeliana”.
L’iter giudiziario è iniziato il 29 dicembre, quando il Sudafrica ha presentato un’istanza di 84 pagine secondo cui Tel Aviv avrebbe violato l’articolo 9 della Convenzione di Ginevra per la prevenzione del genocidio e lo Statuto di Roma del 1948 che per primo definì questo genere di reato come “l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo identificato su base etnica, religiosa, razziale o nazionale”. Nell’esposto di Pretoria si legge che “Gli atti e le omissioni d’Israele rivestono carattere di genocidio perché accompagnano l’intento specifico richiesto di distruggere i palestinesi di Gaza, in quanto parte del gruppo nazionale, razziale ed etnico più ampio dei palestinesi”.
Anche prima della guerra il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa aveva più volte attaccato Israele, definendo la Striscia “un lager” e paragonando la situazione in Terrasanta all’apartheid. Il suo partito, l’African National Congress fondato da Nelson Mandela, ha sempre sostenuto la causa palestinese e alcuni osservatori vedono in questa mossa contro Tel Aviv un atto politico volto a guadagnare consensi in patria. Quest’anno, infatti, nel Paese vi sono le elezioni e in molti hanno accusato l’Anc di aver abbandonato gli ideali di cui si era fatto campione al momento della sua nascita.