Li chiamavamo baroni. Dicevamo che quello del medico non è un mestiere ma una vocazione, una missione. E invece. Dopo anni di picconate, doppi turni, stipendi bassi, condizioni di lavoro invivibili, uno specialista su tre dichiara apertamente: «Tornassi indietro, non mi iscriverei a medicina». Una sconfitta per tutti, che avvilisce una delle professioni più faticose – fosse solo per gli anni di studio – e cozza pesantemente con il bisogno di cure, sempre più alto. Il 12 per cento dei medici pensa seriamente di cambiare mestiere e quasi la metà si sta informando per anticipare la pensione. Il motivo? La paura di subire un taglio dopo anni di contributi, magari con misure retroattive come quelle introdotte nella manovra (anche se poi alleggerite con un successivo emendamento).
Il disagio della categoria emerge dall’indagine svolta dalla federazione dei medici internisti ospedalieri Fadoi su un campione rappresentativo di camici bianchi di tutte le regioni italiane: medici d’esperienza, con alle spalle molti anni di carriera, e medici più giovani (il 30 per cento del campione) ma almeno da dieci anni nel sistema pubblico.
La denuncia di Fadoi scrive un’altra pagina di cui andar poco fieri nel libero nero della sanità italiana: il rischio che chi ci cura perda la motivazione. E si affianca ad altri capitoli senza lieto fine che raccontano (dati di pochi giorni fa) di 1.100 pazienti in coda nei pronto soccorso del Lazio, di 500 persone in attesa di cure in Piemonte, di ricoveri ordinari sospesi in Lombardia, di infermieri che hanno saltato le ferie a Napoli. È la storia di una sanità pubblica che vive i picchi delle influenze stagionali come fossero montagne insormontabili e non fenomeni del tutto normali tra dicembre e gennaio. Tanto che è nell’aria un nuovo sciopero della categoria, con data da definire entro la fine di gennaio, per snocciolare tutti i mali delle corsie.
«Certo – spiega Francesco Dentali, presidente Fadoi – preoccupa quel 40% che pensa di lasciare il servizio pubblico, ma sono gli stessi medici nelle loro risposte a indicare la via della rinascita: un Ssn che torni a garantire a tutti il diritto alla salute, apponendo le esigenze assistenziali davanti a quelle economiche, indicate da oltre il 70% dei medici come elemento che ancora li lega al pubblico».
Uno spiraglio si intravede negli 11,2 miliardi in più che il ministero della Salute ha destinato al fondo sanitario. Serviranno – spiega il ministro Orazio Schillaci – «a gestire il rinnovo dei contratti degli operatori sanitari, ad aumentare la remunerazione delle prestazioni aggiuntive e rifinanziare i piani operativi delle Regioni per ridurre le liste d’attesa». E ovviamente per nuove assunzioni, il vero nodo della riorganizzazione. Necessarie più che mai ora che sono stati sciolti i contratti con le cooperative dei medici gettonisti. «In Lombardia – spiega l’assessore al Welfare Guido Bertolaso – Areu ha già pubblicato il primo avviso unificato che consentirà di assumere i medici liberi professionisti negli ospedali lombardi: è il passaggio per riportare i medici all’interno del servizio sanitario regionale».
Per ora è stato tamponato anche il rischio sui tagli alle pensioni: per quelle anticipate la decurtazione sarà ridotta per ogni mese di posticipo del pensionamento fino all’annullamento totale se si resta al lavoro per 36 mesi.