L’ultima del “Financial Times”: il patto è troppo filo-italiano

L'ultima del "Financial Times": il patto è troppo filo-italiano

È evidente che al Financial Times il governo Meloni piaccia poco o punto. Dopo aver bacchettato l’esecutivo sul ddl Capitali in via di approvazione alla Camera perché sarebbe poco market friendly (nel senso che si è «amici del mercato» se e solo se si è «amici degli amici»), ieri è stata la volta del nuovo Patto di Stabilità. A vergare la critica è stato Luís Garicano, già europarlamentare spagnolo della formazione liberal Ciudadanos e professore di politica pubblica alla London School of Economics. «Le nuove regole non funzioneranno», scrive l’allievo della Chicago Booth ma legato più all’eterodosso Gary Becker che a Milton Friedman. I motivi del probabile fallimento sono semplici. In primo luogo, «manca un ruolo di monitoraggio per le istituzioni fiscali indipendenti delle singole nazioni». Si tratta della famosa «analisi di sostenibilità del debito» che la riforma demanda alla Commissione e non più a un’entità terza. In secondo luogo, i piani di rientro del deficit/Pil possono essere settennali, dunque ben oltre la durata delle legislature che sono di 4 o 5 anni a seconda del Paese. «È improbabile che la Commissione costringa un governo ad attuare le politiche concordate dal suo predecessore», osserva. Garicano cita gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti che nel loro ultimo libro sul Pnrr hanno messo in dubbio quantità e qualità delle riforme attuate in cambio dei fondi. E proprio questa citazione rende il commento di Garicano un po’ meno universale e un po’ più diretto a Roma. Il nuovo Patto non è abbastanza rigoroso perché eventuali violazioni potrebbero non essere sanzionate. Che è un po’ come non usare l’auto per non prendere una multa. O dire che una politica economica non funziona solo perché non ha il bollino di garanzia. Che sia di Berlino o di Londra poco importa.

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