L’Italia condannata a essere schiava del proprio passato

L'Italia condannata a essere schiava del proprio passato

A volte c’è da chiedersi se il nostro Paese più che essere figlio del proprio passato, cosa di per sé giusta, non ne sia schiavo. Se c’è un’abitudine che non viene mai meno nella polemica politica nostrana è l’inclinazione a rinfacciarsi pagine di Storia. O meglio si maneggia la Storia come se fosse una clava. Così ogni volta che ricorre l’anniversario della strage di Acca Larentia dove persero la vita tre giovani aderenti del Msi, con il solito gruppo dai nostalgici che rispolvera per l’occasione il saluto romano, si va avanti per giorni con la sinistra che lancia accuse di apologia del fascismo e la destra che risponde ricordando la violenza del terrorismo di sinistra. Naturalmente se la destra è al governo, come in questo caso, lo scontro assume toni ancora più pesanti. Poi, magari, ci sono gli appelli alla riappacificazione da entrambe le parti ma tempo un anno si ricomincia da capo.

Eppure sono trascorsi quasi cinquanta anni e nel frattempo si sono consumate rivoluzioni (basta pensare al web) che hanno cambiato profondamente il nostro stile di vita ben più dei sogni rivoluzionari che a quei tempi animavano la destra e la sinistra. Ecco rispetto alle trasformazioni che si sono compiute e a quelle in atto lo scontro tra «rossi» e «neri» ci consegna la triste immagine di un paese condannato a guardare il presente con gli occhi del passato. Come se il tempo si fosse fermato. Così abbiamo – per restare agli ultimi casi – l’attempato giudice della Corte dei Conti che inneggia all’ideologo dell’autonomia operaia Tony Negri che le ha sbagliate molte per non dire tutte e la materializzazione a destra, ogni sette gennaio, davanti alla vecchia sezione del MSI di Acca Larentia, dei fantasmi degli anni di piombo.

Nessuna riflessione, invece, su quei tempi che hanno segnato il Paese e marcato a fuoco generazioni. Nessun sforzo con gli occhi di oggi per capire che in quegli anni oltre alle ubriacature ideologiche a sinistra come a destra, c’era il fuoco di una ribellione generazionale, un forte desiderio ad impegnarsi, un’inclinazione a dividersi nella ricerca di un’identità con atmosfere più vicine alle bande giovanili di West side story che non a quelle delle adunate sulla piazza rossa di Mosca o sotto il balcone di piazza Venezia. E poi naturalmente c’erano i cattivi maestri, c’era la droga e tutto questo rendeva quei mondi – a sinistra come a destra – un magma incandescente utilizzabile e strumentalizzabile anche da parte di altri a cominciare da servizi segreti di varia matrice.

E qui si presenta un altro esempio di come bisognerebbe accostarsi alla Storia con cura. Muore Henry Kissinger (foto) e una trasmissione della Tv pubblica ritira fuori le congetture sulla manina degli amerikani con il K che avrebbe mosso i fili della morte e dell’assassinio di Aldo Moro. Ipotesi già emerse in passato con testimonianze presentate come inedite, come quella dell’esponente socialista Claudio Signorile, che già si conoscevano. Di nuovo c’è stata nei fatti solo la morte di Kissinger, il personaggio che all’epoca aveva sconsigliato in un colloquio Aldo Moro di portare il PCI nel governo. Un colloquio che aveva turbato lo statista della DC. E anche questo era stato raccontato. Com’è stato scritto delle paure di Enrico Berlinguer nel suo viaggio a Mosca e della notizia di un attentato che aveva subito nel 1973 in Bulgaria. O ancora dei contatti che alcuni brigatisti ebbero con i servizi segreti sovietici. Insomma, in questo calderone tirare in ballo solo Kissinger vuol dire piegare la Storia a proprio piacimento e arrivare a conclusioni che neppure cinque commissioni d’inchiesta parlamentari che si sono occupate del caso hanno raggiunto. Forse sarebbe più serio fare un’analisi complessiva di quegli anni in cui tante vicende si confondono e si rincorrono, a destra come a sinistra. Aprendo gli archivi e utilizzando il metodo scientifico e imparziale degli storici senza cedere alle strumentalizzazioni della politica. Per evitare che la storia venga utilizzata come arma contundente ad ogni anniversario o come fonte di ricatti. Magari a quel punto potrebbe maturare una vera pacificazione che riconcili il Paese.

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