“Allarmi, Allarmi, Allarmi, i fascisti son tornati”. La commemorazione di tre milianti del Fronte della Gioventù uccisi in via Acca Larentia alla fine degli anni ’70 ha suscitato l’indignazione delle opposizioni. Soprattutto del M5S.
La celebrazione, accompagnata dal rito del ‘presente’, va avanti da decenni e sotto qualsiasi governo, ma la levata di scudi più importante è arrivata solo quest’anno perché al governo c’è Giorgia Meloni. Quando a Palazzo Chigi c’erano Gentiloni o Draghi l’onda di indignazione era stata in tono molto più contenuto. Detto questo, le proteste sul tema dell’antifascismo fanno parte del dna del Pd, ma il M5S ha addirittura presentato un esposto in procura.
Il “saluto romano” e l’intonazione del coro “presente”, secondo i grillini, violano il reato di apologia del fascismo “per la connotazione di pubblicità che qualifica tali espressioni esteriori, evocative del disciolto partito fascista, contrassegnandone l’idoneità lesiva per l’ordinamento democratico ed i valori ad esso sottesi”. Una mossa più che legittima dal punto di vista di un partito come il M5S che ora si posiziona nel campo progressista, ma non è sempre stato così. No, non ci riferiamo al papà di Alessandro Di Battista che rivendicava orgogliosamente di essere fascista.
Andando più a ritroso nel tempo, potremmo ricordare di quando, nel lontano 2013, Beppe Grillo si era dovuto difendere dopo aver incontrato degli esponenti di Casa Pound. “Il tempo delle ideologie è finito. Il Movimento 5 Stelle non è fascista, non è di destra, né di sinistra. E’ sopra e oltre ogni tentativo di ghettizzare, di contrapporre, di mistificare ogni sua parola catalogandola a proprio uso e consumo”, scriveva Grillo in un post intitolato: “Il M5S non è di destra né di sinistra”. E pochi giorni dopo ribadiva: “il M5S non è un movimento ideologico, ma vuole ottenere la democrazia diretta. È un movimento al quale chiunque non sia iscritto a un partito e accetti il suo programma, può iscriversi. È ecumenico”.
Queste sono dichiarazioni di polemica politica risalenti a 11 anni fa, ma c’è un atto politico ben più importante che mette in chiara evidenza le contraddizioni dei pentastellati. Nel 2017, infatti, sotto il governo Gentiloni, il M5S votò contro la legge presentata dal deputato dem Emanuele Fiano che introduceva nel codice penale il reato di propaganda fascista e nazifascista. Alessandro Di Battista la definì su Facebook una “pagliacciata” e scrisse: “Ora ci daranno dei fascisti, fanno sempre così ma meglio subire attacchi puerili che avallare un sistema che si occupa di tutto tranne che delle reali esigenze dei cittadini”. All’epoca una simile legge veniva definita “liberticida”, mentre oggi il M5S scopre (tardivamente) l’antifascismo e lo impugna come arma di propaganda politica… Ma non è tutto. Nel 2019, infatti, l’allora vicepremier e capo politico del M5S, Luigi Di Maio, incontrò a Bruxelles i leader di alcuni partiti di estrema destra che negavano persino l’esistenza della Shoa e che avevano posizioni dichiaratamente anti-abortiste e contro i gay. E, sempre al 2019, risalgono gli abboccamenti tra i pentastellati e i gilet-gialli, movimento francese che, per alcuni, soprattutto a sinistra, aveva posizioni politiche ritenute di stampo fascista.