Tre prove contro tre prove. È una partita a scacchi la revisione processuale per la Strage di Erba che si aprirà il 1 marzo alla seconda sezione della Corte d’appello di Brescia e che durerà almeno un anno o più.
Le tre prove chiave che per 17 anni hanno sorretto l’accusa contro Olindo Romano e Rosa Bazzi sono la macchia di sangue trovata sulla Seat Arosa, il riconoscimento del superteste Mario Frigerio, accoltellato alla gola ma salvo per una malformazione alla carotide, e le confessioni dei due rese dopo gli arresti. A metterne in fila criticità e inverosimiglianza è stato il procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser, che ha approfondito e dato seguito ai dubbi sollevati dal Giornale dal 2007
e dal libro Il grande abbaglio pubblicato nel 2008 da chi scrive con Edoardo Montolli. La macchia repertata e quella analizzata, dice Tarfusser, non possono essere le stesse: una è contaminata – scrivono i carabinieri di Erba che la trovarono molti giorni dopo la strage – l’altra è «pura», stando al perito di Pavia Carlo Previderè. C’è un problema «nella catena di custodia», dice Tarfusser. È solo una «suggestione ottica» smontata dalle consulenze genetiche dell’ex Ris Marzio Capra, sostengono i legali. Eppure ha resistito tre gradi di giudizio. Quando il Giornale ipotizzò che la macchia fosse da contaminazione (l’agente che perquisì la casa la sera della strage poi ispezionò la vettura) venne smontata in primo grado dal maresciallo dei carabinieri Luciano Gallorini, secondo cui chi aveva firmato la perquisizione non l’aveva eseguita. Una «frode processuale», come ipotizzano le richieste di revisione?
Il Giornale per primo ha scritto che Frigerio appena sveglio non indicò Olindo come aggressore ma un uomo «mai visto prima, di etnia araba e di carnagione olivastra» da ricercare in chi «frequentava casa Castagna». Il suo ricordo poi è «migliorato» dopo le domande assertive fatte in ospedale dal maresciallo Gallorini, ma questo è «scientificamente impossibile» secondo gli esperti che hanno collaborato gratis con la difesa. Lo stesso Tarfusser è convinto che questo potrebbe aver falsato il ricordo di Frigerio, condizionandolo.
Poi ci sono le confessioni. Piene di errori rispetto alle prove elaborate dai Ris solo successivamente, sovrapponibili perché furono fatte ascoltare a Rosa Bazzi quelle del marito, con qualche dettaglio vero grazie alle foto della strage messe sul tavolo, come il Giornale ha scoperto e come il pm Massimo Astori è stato costretto ad ammettere durante la requisitoria. Confessioni con frasi tipo «metta ciò che vuole» o con Rosa che chiede conforto ai pm («È giusto?») .
E invece come è morta l’ultima vittima, Valeria Cherubini? È stata trovata a casa sua, in posizione supina, le mani a protezione del capo. È stata ammazzata a coltellate e bastonate, sette o otto in testa. Eppure era viva all’arrivo dei soccorritori, lo ha stabilito il processo. Gridava «aiuto», ma è stata trovata con la gola tagliata. Per la sentenza (e le confessioni) è stata colpita al primo piano ed è risalita ma una perizia dimostra che la sua lesione al muscolo psoas della coscia gliel’avrebbe reso impossibile. Quindi è morta a casa sua. Ma allora da dove sono scappati gli aggressori? Dal balconcino dell’appartamento di Raffaella Castagna, dove sono state trovate tracce del suo sangue?
In quell’appartamento la luce è stata staccata alle 17.40 (lo dice l’Enel), Olindo e Rosa diranno poco prima delle 20. Secondo un perito in casa c’era già qualcuno prima della mattanza, come confermano anche dei vicini di casa siriani. Chi? Amici di Azouz Marzouk, invischiato in storiacce di droga e ‘ndrangheta e arrestato pochi giorni dopo? Gli arabi di cui parla subito Frigerio? Gli stessi visti uscire da un vicino di casa e scappare? C’entra la gang di marocchini pagata dagli albanesi di Ponte Lambro per cacciare gli spacciatori tunisini da Erba, come rivelano due testimoni?