Caos sul saluto romano: è reato o no? Arriva il verdetto finale della Cassazione

Caos sul saluto romano: è reato o no? Arriva il verdetto finale della Cassazione

Non è da solo, Ignazio La Russa, a sostenere che ancora non si sa se il saluto romano sia davvero un reato. Anzi, si può dire che il presidente del Senato sia in buona, autorevole compagnia. A spiegare che tutta la materia – tornata di stretta attualità dopo le impressionanti immagini della adunata a Roma in memoria della strage di Acca Larentia – è avvolta dall’incertezza è la stessa Corte di Cassazione, chiamata a più riprese a esaminare sentenze che stabilivano tutto e il contrario di tutto, col risultato che estremisti di destra protagonisti di fatti identici sono stati in alcuni casi condannati, e in altri casi identici invece sono stati assolti. «A questo punto – dice un corpulento habituè di questo tipo di adunate – anche noi vorremmo sapere cosa possiamo fare e cosa invece no».

La fase dell’incertezza dovrebbe essere prossima alla fine. Il 18 gennaio, a dire una parola definitiva saranno le Sezioni unite della Cassazione: l’organo massimo della giustizia italiana, quello che interviene quando l’interpretazione del diritto si fa evanescente, l’unico le cui decisioni vincoleranno d’ora in avanti i tribunali di tutto il Paese.

La sentenza che chiede l’intervento delle Sezioni Unite è stata emessa nel settembre scorso dalla Prima sezione penale della Cassazione, investita di un caso che riassumeva il caos normativo: quello di otto neofascisti milanesi, incriminati per le cerimonie dell’aprile 2016 in memoria dello studente del Fronte della Gioventù Sergio Ramelli, ucciso nel 1975. Ranghi compatti, croci celtiche: e poi, come da rito, le braccia tese nel saluto romano e l’appello «camerata Ramelli» e la risposta: «Presente».

Gli otto più in vista vengono denunciati dalla Digos, e si va al surreale. In primo grado vengono assolti, con la motivazione che essendo stati assolti in casi analoghi non pensavano di commettere un reato; in appello vengono condannati a due mesi di carcere; in Cassazione la procura generale chiede la loro assoluzione. A quel punto la Prima sezione ferma tutto, perché è chiaro che non ci si capisce più niente. E passa la palla alle Sezioni unite. «L’andamento del presente procedimento costituisce una dimostrazione esemplare del contrasto», per cui «si invoca l’intervento chiarificatore». A rendere tutto complicato, spiega la sentenza scritta dal giudice Alessandro Centonze, c’è il fatto che il saluto romano è punito da due norme diverse, la legge Scelba del 1952 e la legge Mancino del 1993, la prima contro l’utilizzo di simboli fascisti, la seconda contro l’istigazione al razzismo. Una corrente di sentenze applica la legge Mancino, equiparando di fatto fascismo e razzismo (e qui alcuni storici avrebbe da ridire); altre sentenze dicono che il razzismo non c’è, il saluto romano è fascismo e basta, ma per essere punito serve che si rischi davvero concretamente la ricostituzione di un partito fascista; altre dicono che basta un pericolo astratto; altre ancora che i due reati si assommano, e uno non esclude l’altro.

Insomma un caos cui le Sezioni Unite, presiedute da Margherita Cassano, dovranno mettere fine il 18 gennaio: «Per assicurare – scrive la Prima sezione – l’uniformità dell’interpretazione su questioni interpretative di notevole rilevanza», chiarendo una volta per tutte «se la condotta consistente nel protendere in avanti il braccio nel saluto fascista, evocativa della gestualità tipica del disciolto partito fascista, tenuta nel corso di una manifestazione pubblica, senza la preventiva identificazione dei partecipanti quali esponenti di una associazione che propugni gli ideali del predetto partito» sia una violazione della legge Scelba o della legge Mancino. E «se entrambe le disposizioni configurino un reato di pericolo concreto o di pericolo astratto».

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