Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni. Nemmeno i morti lasciano in pace gli avvoltoi della sinistra che, per colmare il vuoto di pensieri e sentimenti, volteggiano funesti. Questa volta sul ricordo di tre ventenni trucidati per la sola colpa di appartenere al Fronte della Gioventù negli anni in cui uccidere un fascista non era reato. E, infatti, per quelle morti innocenti nessuno è mai finito in carcere.
Tre le vittime di quel 7 gennaio 1978 davanti alla sede del Msi del Tuscolano. Anzi, d’ora in poi sarebbe il caso di ricordare i quattro morti di Acca Larentia, perché mai nessuno ricorda che alcuni mesi dopo il padre di Francesco Ciavatta, portiere di uno stabile in via Deruta, si uccise per la disperazione bevendo una bottiglia di acido muriatico. E insieme anche il quinto, perché nel primo anniversario del 1979, l’agente di polizia in borghese Alessio Speranza uccise il diciassettenne Alberto Giaquinto negli scontri con le forze dell’ordine a Centocelle. Un rosario di dolore e morti adolescenti che meriterebbe quel rispetto che certo non ha avuto Elly Schlein (nella foto), la segretaria del Pd risvegliatasi dal torpore delle vacanze natalizie l’altra sera per chiamare a raccolta i suoi, gridando allo scandalo dei saluti romani levatisi nella commemorazione di domenica. Una tradizione che si ripete da 45 anni con qualunque governo e qualunque premier, dimostrando quanto sia pretestuoso l’attacco odierno a Giorgia Meloni o al presidente della Regione Lazio Francesco Rocca. Basterebbe guardare la foto dell’identico bosco di braccia tese regnanti Mario Draghi o Matteo Renzi, pronto anche lui ieri a ergersi a paladino della resistenza al rinascente Fascismo. Eppure allora nessuno chiese ragione al governo di quanto succedeva davanti a quella lapide.
A maggior ragione perché le accuse di Schlein e compagni si basano, come spesso succede a sinistra, su una menzogna: perché nessun rappresentante istituzionale ha assistito ai saluti romani levatisi ai tre «Presente» di rito dato che, come sempre succede, le manifestazioni sono due. Rigorosamente separate: c’è quella del mattino quando i politici di FdI depositano i cuscini di fiori, mentre l’adunata dei saluti romani è organizzata dagli extraparlamentari nel pomeriggio. Quando, come ha precisato il vice presidente della Camera Fabio Rampelli, a scendere in strada «sono persone di varia provenienza, cani sciolti, organizzazioni extraparlamentari. Non hanno niente a che vedere con Fratelli d’Italia: noi facciamo la nostra celebrazione ufficiale e poi andiamo via». Due ricordi rigorosamente separati: un po’ quello che succede a Milano per Sergio Ramelli ed Enrico Pedenovi ogni 29 aprile, l’altra data diventata culto per la destra italiana.
E se si volesse sottilizzare, anche la faccenda della condanna al «Presente» corredato da saluti romani invocando la Legge Scelba e quella Mancino ci sarebbe da discutere. Come dimostrano tante sentenze della Corte di Cassazione che, ondivaga sul tema, ha li ha più volte considerati legittimi durante la commemorazione di un defunto, non rappresentando questo un pericolo di ricostituzione del Partito fascista. Questa sì, punita per legge.
Casomai ci si chieda perché tanti ragazzi da tanti anni sentano il bisogno di andare in piazza a tendere il braccio destro e si condanni il fatto che quei tre ventenni dopo 46 anni non hanno ancora avuto giustizia perché di cercare i loro carnefici nessuno si è data troppa pena. E questo è ucciderli di nuovo. Pensino a condannare questo Schlein, Renzi e compagni.