Un motto molto in voga durante il Ventennio, per forgiare un modello ideale di cittadino e nello stesso tempo chiarire una precisa linea culturale del Regime, fu il noto «Libro e moschetto fascista perfetto». Ma ce n’è un altro, non così ducesco, pensato fuori dal Partito, meno pedagogico, ma nato negli stessi anni, che fa capire quanto il libro sia stato utile a realizzare l’idea mussoliniana di rinnovamento intellettuale e morale del popolo italiano. «Ogni casa senza libro è come una spelonca». Che sembra un calco strapaesano del ciceroniano «Una casa senza libri è come una stanza senza finestre» ma resta di sicuro effetto. Fu lo slogan non a caso scelto dalla città di Brescia per lanciare la prima «Festa nazionale del libro» che l’Italia fascista varò nel 1927. Sessant’anni prima del Salone del Libro di Torino e settanta prima del Festivaletteratura di Mantova, per dire.
Ora quel motto è diventato il titolo di un saggio, figlio di un piccolo scoop archivistico, scritto da Elena Pala, storica dell’Università degli Studi di Milano: Ogni casa senza libro è come una spelonca. La Festa Nazionale del Libro, 1927-1937 (La Compagnia della Stampa). Lo studio, che prende le mosse dal «caso Brescia», la città di Elena Pala, la quale ha recuperato documenti, locandine e fotografie inedite, indaga per la prima volta un aspetto della politica culturale del Ventennio del tutto trascurato anche dagli storici del fascismo. Ossia il fatto che per un lungo arco di tempo, fra il 1927 e il 1937 (con l’istituzione nel 1931 di una Giornata nazionale dedicata al libro), prese piede in Italia una grande festa dedicata alla lettura e agli autori, diffusa capillarmente in un centinaio di città, fra piazze, portici e stazioni dei treni, finalizzata a coinvolgere anche gli strati sociali meno abituati a frequentare librerie e biblioteche («Poniamo il libro ben vicino al passante» è l’obiettivo degli organizzatori). Un’altra tessera del grande piano volto a rafforzare il consenso del Regime e a offrire l’immagine di un’Italia culturalmente vivace e dinamica: il libro – Mussolini lo aveva capito bene – vince le battaglie prima che le contese siano portate in campo aperto. L’arte della guerra di Sun Tzu declinata nell’egemonia culturale.
Tutto nasce nel maggio 1927 per un’iniziativa autonoma, poi fatta propria dal Regime, della rivista milanese La Fiera letteraria. Il foglio diretto da Umberto Fracchia dopo un anno di discussioni e preparativi – con «l’appoggio morale» del governo fascista, deciso a valorizzare il libro come «simbolo di civiltà e di progresso» e anche dell’Associazione editoriale libraria italiana, l’Aie di oggi – lancia la Prima Festa del Libro a livello nazionale per ricordare «a ogni buon cittadino che la civiltà di un popolo si misura dal numero e dalla qualità dei libri che legge». Come scrive Umberto Palazzi nel primo articolo dedicato all’iniziativa: «Avere una bandiera alla finestra è bene, ma avere un libro di più è pure bene». E prefigurando la fortuna di tante fiere, saloni e festival letterari che negli ultimi decenni hanno occupato tutta le Penisola, il successo di pubblico è sbalorditivo, oltre che forse inaspettato. Piazza San Carlo a Torino, le librerie di decine e decine di stazioni di mezza Italia, da Napoli a Sanremo, da Domodossola a Caserta, piazza Mercanti a Milano, i portici di Palazzo Broletto a Brescia (le fotografie raccolte nel volume, mai pubblicate prima d’ora, sono splendide) ospitano bancarelle, stand, carrettini pieni di volumi, per signore, operai, bambini… I manifesti murari sono delle più grandi firme del tempo – peraltro neanche organiche al Regime – come Marcello Nizzoli e Diego Santambrogio. Il battage dei giornali locali imponente. L’appoggio di librari e editori entusiasta (con premi per i migliori stand, pesche di beneficenza che mettono in palio libri e «belle bionde tinte» come proto-standiste). E l’appello è inderogabile! «Imparate a scegliere il libro che fa per voi, frequentate una libreria, formatevi una piccola biblioteca, abbonatevi ad un giornale letterario, dedicate alle buone letture i vostri momenti di riposo e ai libri le vostre economie». E la gente – fin dalla prima edizione, che tocca sessanta città – accorre, sfoglia e persino compra. Il risultato, sentenzia trionfante il comitato organizzatore, dimostra che «l’Italia non è un terreno refrattario alla diffusione del libro, ma soltanto incolto, da dissodare».
Il lavoro di Elena Pala non solo è del tutto originale ma anche molto legato all’attualità nel momento in cui si sofferma sulle diverse forme di promozione della lettura presenti nella «Battaglia del Libro» del Ventennio. Le iniziative collaterali – come si chiamano oggi – sono modernissime. La Festa nazionale del Libro prevede presentazioni «drammaturgiche» a teatro (ciò che avrebbero fatto poi Baricco e gli altri), letture in piazza o dai balconi (i nostri reading), conferenze d’apertura (le famose lectio dei Saloni), forti sconti anche sui titoli più nuovi (nessuno inventa niente), la vendita di libri con firma dell’autore e dedica «A te lettore anonimo», prefigurazione degli odierni, interminabili, firmacopie dei bestselleristi, l’esposizione di libri usati (poi sarebbe arrivato il Libraccio), la presenza di «sedicenti scrittori» (già allora c’erano gli autopubblicati), l’orario di apertura serale per le librerie, l’utilizzo di ragazzi «svelti e compiacenti» (ogni festival ha i suoi volontari), il coinvolgimento degli industriali locali invitati ad acquistare copie da distribuire ai propri dipendenti… E poi la «Carovana degli scrittori», un tour itinerante per la Penisola (Varese-Busto Arsizio-Brescia…) «per avvicinare coloro che scrivono al pubblico che legge».
E poiché il bilancio di un’iniziativa culturale si misura anche coi numeri, i dati ci dicono che la prima edizione della Festa nazionale del Libro contò due milioni di libri venduti. Soltanto la città di Brescia, al centro della ricerca di Elena Pala, nella fiera del 1933 superò la cifra di 180mila lire per un totale di 50mila libri acquistati dai cittadini. E il bestseller dell’occasione, per dire l’umore dell’Italia fascista, non è un titolo di Arnaldo Mussolini. Ma l’Odissea. Seguita da diversi romanzi russi.
Il fascismo rivendicò la vittoria contro l’analfabetismo. La Festa e la Giornata nazionale del libro vollero fare un passo in più. «Si è insegnato al popolo a leggere – scrive il Popolo di Brescia a proposito della quarta fiera del libro -. Ora lo si abitui a farlo».