“Signori” della corte, ora si cambia. Il linguaggio inclusivo e i suoi canoni sono arrivati anche tra i banchi (e nelle sentenze) della Corte costituzionale. Dal 22 dicembre scorso, i documenti ufficiali dell’importante organo di garanzia riportano infatti una nuova dicitura adottata nel rispetto della parità di genere. Sull’intestazione delle sentenze della Corte costituzionale, dunque, non compare più la parola “signori“, che precedeva l’elenco dei nomi dei giudici – uomini e donne – componenti del collegio; diversamente viene utilizzata un’altra formula: “La Corte Costituzionale composta da…“. Senza riferimento al genere dei magistrati.
Come spesso accade in questi casi, le modifiche all’insegna dell’inclusione non stravolgono nulla nel concreto ma introducono piuttosto una formale modifica di paradigma pronta a soddisfare i più intransigenti paladini del linguaggio politicamente corretto. Va altresì sottolineato quel che in realtà appariva già ovvio: ovvero che la precedente dicitura fosse comunque corretta, dal momento che il maschile plurale non marcato si riferiva all’integrità del collegio, senza distinguere (né tantomeno discriminare) le componenti di genere femminile. In ogni caso, una decisione presa all’unanimità ha fatto scattare l’aggiornamento al termine dello scorso anno, precisamente con la sentenza n. 223 del 2023 depositata il 22 dicembre.
Il cambiamento, al di là del contesto in cui è stato adottato e della singola decisione, si inserisce in una più ampia e articolata discussione sul cosidetto linguaggio inclusivo in ambito istituzionale e giuridico. Il dibattito sul tema è aperto e non sempre trova tutti concordi, anche perché in alcuni casi si rischia di incorrere in soluzioni forzate o non strettamente necessarie, che talvolta possono addirittura cozzare con le necessità di sintesi e di immediatezza richieste dal linguaggio formale o burocratico. Nei mesi scorsi, nel tentativo di fare chiarezza in quello che rischia di diventare un ginepraio linguistico, l’Accademia della Crusca aveva dettato alcune regole di massima riferite proprio agli atti giuridici.
Rispondendo ai quesiti del Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione, la Crusca aveva tassativamente bocciato l’utilizzo di asterischi e schwa al posto delle desinenze dotate di valore morfologico. Poi, in riferimento al plurale, aveva dato un parere illuminante ma persino ovvio agli occhi di chi utilizza il linguaggio senza pregiudizi ideologici: “In una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare“.