Eppure…. Anche se oggi Emanuele Pozzolo è un uomo solo, un indagato nel mirino del pm, mediaticamente e politicamente già dichiarato colpevole, il giallo che lo vede protagonista è lontano dall’essere risolto. Certo, nessuno potrà mai assolverlo dalla colpa di essersi presentato armato a una festa di fine anno. Ma Pozzolo non era l’unico armato, la notte di San Silvestro, nella sede della Pro Loco del paese di Rosazza, sulle Alpi biellesi. E su quanto accaduto dopo, sugli attimi cruciali in cui il piccolo revolver cade a terra, viene raccolto, e parte il colpo che ferisce a una coscia l’elettricista Luca Campana, la verità è ancora lontana. Come pure la verità su quanto accade nei minuti e nelle ore successive, quando – prima ancora dell’arrivo dei carabinieri – i presenti alla festa, compreso il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, assente al momento dello sparo – si scambiano le ricostruzioni su quanto accaduto. É lì che prende forma la versione offerta nelle ore successive ai carabinieri, quella secondo cui l’arma al momento dello sparo era in mano a Pozzolo. Secondo quanto riferito ieri dal Corriere della sera, nella prima relazione dei carabinieri alla procura di Biella sono citate due testimonianze in questo senso.
Pozzolo nega, aggrappato a una versione che – riferisce chi lo ha incontrato in questi giorni – è intenzionato a difendere a oltranza. Non aveva lui la pistola, e nemmeno l’aveva Luca Campana. Probabilmente Pozzolo sa bene il nome del terzo uomo, quello che ha raccolto l’arma da terra e che l’impugnava quando è partito il colpo, e lo dirà quando verrà interrogato dai pm. Il problema è che sarà la sua parola contro quella degli altri testimoni, tutti o quasi tutti agenti di polizia penitenziaria, come il suocero di Campana, Pablito Morello, caposcorta del sottosegretario Delmastro. Ma, almeno per quanto è stato reso noto finora, a nessuno dei presenti è stato effettuato lo stub, il tampone per rilevare tracce di polvere da sparo sulle mani e sugli abiti.
Certo, ci sarebbero le impronte digitali, e quelle sono ancora lì, sulla pistola sotto sequestro. Dettaglio: dopo lo sparo la pistola è passata di mano in mano, qualcuno ha messo la sicura che prima evidentemente non c’era. Così qualunque impronta oltre a quella di Pozzolo può trovare una giustificazione plausibile: anche se fosse l’impronta del caposcorta Morello che, secondo alcune testimonianza, era tra i più vicini a Pozzolo e a Campana al momento in cui il colpo è partito.
Non sarà facile, insomma, il lavoro della pm Paola Ranieri. Anche perché i numerosi agenti di polizia penitenziaria presenti a Rosazza (quattro in servizio, almeno il doppio invitati a partecipare al veglione) tendono a fare muro compatto. Di domande ce ne sarebbero tante. Perché a Delmastro è stato consentito di uscire da solo dalla Pro Loco, contro ogni regola di servizio, poco prima dello sparo? Perché alcuni agenti, compreso Morelli, sono rimasti sul posto fino all’alba, durante i rilievi dei carabinieri? È vero che alcuni agenti hanno sparato in aria con le armi di ordinanza, rendendo così insignificante un eventuale stub? Da oggi, la Procura torna a scavare.