Potrebbe davvero trattarsi di una svolta decisiva verso il trattamento del morbo di Parkinson: una nuova cura con le cellule staminali avrebbe maggiori effetti terapeutici e mancanza di effetti collaterali. Ne parla uno studio danese pubblicato su Nature Communications dal titolo Produzione potenziata di neuroni dopaminergici mesencefalici da cellule staminali umane indifferenziate con lignaggio limitato, a cura del gruppo di ricerca Dandrite dell’Università di Aarhus.
Il ruolo della dopamina
Con i nuovi risultati della ricerca, il leader del gruppo e professore associato Mark Denham ha sviluppato un metodo che garantirebbe una purezza molto più elevata delle cosiddette “cellule della dopamina“, di fondamentale importanza per curare il morbo di Parkinson. “Le cellule staminali offrono un potenziale promettente per il trattamento del morbo di Parkinson trasformandosi in cellule nervose specifiche. Tuttavia, la precisione di questa trasformazione rappresenta una sfida significativa con i metodi attuali, con conseguente bassa purezza“, afferma il prof. Denham in un’intervista pubblicata dal Denham Lab. Il raggiungimento di un’elevata purezza è fondamentale per ripristinare efficacemente il movimento nei pazienti affetti dalla malattia.
Il nuovo metodo
Nel Denham Lab, le cellule staminali sono state modificate geneticamente per impedire di produrre sbagliate tipologie di cellule nervose. Le cellule staminali di nuova progettazione avrebbero una maggiore capacità di produrre le cellule nervose specifiche richieste per il trattamento del Parkinson e sono conosciute con il nome di “cellule dopaminergiche”. I ricercatori hanno dimostrato che queste staminali modificate hanno ottenuto risultati positivi nei modelli animali che hanno ripreso un corretto movimento: si tratta di una svolta per una nuova potenziale terapia per chi ha il Parkinson. “Esperimenti sui ratti hanno dimostrato che sia la quantità che la purezza delle cellule staminali in coltura sono fondamentali per il numero e la durata dei trattamenti”, hanno sottolineato i ricercatori danesi.
Utilizzando queste cellule geneticamente modificate si va incontro a una maggiore purezza delle cellule dopaminergiche che si traduce, nei pazienti, in un recupero più efficace e veloce con minori rischi di ricaduta, fondamentali per evitare numerosi farmaci che hanno inevitabili effetti collaterali. “Il mio obiettivo è aiutare i pazienti a evitare l’assunzione di farmaci che richiedono un’elevata purezza. Quindi, il mio prossimo passo sarà trasferire il mio metodo agli studi clinici”, ha concluso Denam.
Perché serve cautela
Non si fa prendere da facili entusiasmi il prof. Alfredo Berardelli, Professore Universitario di prima Fascia di Neurologia (Professore Ordinario), Dipartimento di Neuroscienze Umane, Sapienza Università di Roma, dal 2001 a oggi. In un’intervista al Corriere ha infatti spiegato che “per quanto accattivante, il risultato dei colleghi danesi per ora va preso con le pinze. La storia degli ultimi 40 anni ci insegna come la strada che li ha portati a queste cellule staminali pre-programmate sia lastricata da scoperte e smentite e sappiamo che non sempre ciò che funziona sul topo poi è altrettanto valido nell’uomo”, sottolinea. Da qui, però, anche Berardelli ha parlato di potenziale svolta nel trattamento della malattia “perché invece di aggiustare il danno a valle si potrebbe agire a monte, riprogrammando il principale primum movens della malattia di Parkinson. Nel frattempo i pazienti possono comunque avvalersi dei progressi terapeutici e diagnostici fatti negli ultimi anni, che già oggi consentono di individuare prima la malattia e quindi instaurare prontamente i trattamenti con risultati migliori”.
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