Morto Beckenbauer, vinse i Mondiali da giocatore e da ct della Germania

Morto Franz Beckenbauer, vinse i Mondiali da giocatore e da ct della Germania

Ha fatto sognare più di una generazione di tedeschi, dispensando grandissime giocate e una classe cristallina in mezzo al campo, nel suo ruolo di difensore centrale (libero, avremmo detto una volta), e poi da allenatore. Franz Beckenbauer è morto oggi a 78 anni. Soffriva da tempo di gravi problemi di salute e si era ritirato dalla scena pubblica. Viveva in Austria, nella zona di Salisburgo. “È con profonda tristezza che vi informiamo che mio marito e nostro padre Franz Beckenbauer si è addormentato serenamente ieri, domenica, circondato dalla sua famiglia. Vi chiediamo di piangere in silenzio e di astenervi dal fare domande”, recita la nota diffusa dalla famiglia dell’ex campione tedesco.

Calciatore, poi allenatore e dirigente sportivo, da tutti era conosciuto come il “Kaiser“, il soprannome che gli era stato affibbiato nel 1971. L’esordio nelle giovanili del Bayern Monaco, squadra dove sbocciò in prima squadra e divenne un campione, giocando complessivamente 33 partite, con 60 reti nel suo palmares (non male per un difensore). Con il club bavarese portò a casa tre Coppe dei Campioni, una coppa delle Coppe e quattro campionati. Con la nazionale tedesca, invece, collezionò 103 presenze, impreziosite da 14 reti. Per due volte il Kaiser conquistò il Pallone d’oro, nel 1972 e nel 1976.

“Dietro non gli sfuggiva neanche un pallone – scrisse lo scrittore e giornalista uruguaiano Eduardo Galeano – neanche una mosca, neanche una zanzara avrebbe potuto passare; e quando si lanciava in avanti era un fuoco che attraversava il campo”.

Beckenbauer partecipò a tre campionati del mondo (1966, 1970, 1974) e due Europei (1972, 1976) vincendo il torneo continentale nel 1972 e il Mondiale 1974. A 32 anni, nel 1977, quando molti lo consideravano al capolinea, si tolse lo sfizio di andare a giocare negli Stati Uniti, al New York Cosmos, accanto a un certo Pelè. Nella Grande Mela vinse tre titoli tornando poi in patria per chiudere la carriera, sempre da numero uno: con la maglia dell’Amburgo, infatti, vinse la Bundesliga, dopodiché, questa volta sì, pose fine alla sua lunghissima carriera, iniziando quella di allenatore.

Come ct della nazionale tedesca portò a casa la Coppa del mondo nel 1990, quella disputatasi in Italia, alzando la coppa al cielo allo stadio Olimpico di Roma, dopo aver sconfitto l’Argentina di Diego Maradona.

Testa alta, sguardo fiero, fu un rivoluzionario nel modo di interpretare il suo ruolo di difensore. La famosa “costruzione dal basso“, che da qualche anno viene considerata espressione del calcio moderno, era nel suo dna.

I più anziani lo ricorderanno per la partita del secolo (Italia-Germania 4-3), del Mondiale in Messico nel 1970. Il Kaiser giocò i supplementari con una vistosa fasciatura alla spalla lussata. Uno come lui sapeva stringere i denti e non mollare mai la battaglia. Roberto Boninsegna ricorda ancora bene l’infortunio, che non impedì a Beckenbauer di rimanere in campo: “Cadde e si fece male ma poteva correre. Aveva la spalla al collo, sono immagini indelebili. Quando fai una semifinale Mondiale te la giochi fino alla fine e anche di questo in un certo senso dobbiamo ringraziarlo, per quei grandi supplementari. A noi c’è andata bene, anche se quella partita c’è costata un po’ la finale. Ma era la grande Germania, con grandi giocatori come lui”.

“Lo shock è profondo, anche se sapevo che Franz non si sentiva bene”, ha detto l’ex campione tedesco Lothar Matthäus -. La sua morte è una perdita per il calcio e per la Germania tutta. È stato uno dei più grandi da giocatore e da allenatore, ma anche fuori dal campo. n caro amico ci ha lasciato. Mi mancherà, mancherà a tutti noi”.

“Di Beckenbauer ho un ricordo in particolare – racconta Fabio Capellodi averci giocato contro la Germania a Roma, pareggiammo. Alla fine lui si lamentò che l’erba era troppo corta e non riusciva a calciare bene di mezza punta, come calciava lui. Mi rimase sempre dentro questo aneddoto, era un perfezionista. Come persona l’ho incontrato così, senza parlarci. Come giocatore, ha vinto due volte il pallone d’oro da difensore e ho detto tutto. Se ne va uno dei grandissimi del calcio”.

Un altro grandissimo ex azzurro, Gigi Riva, lo ricorda così: “Era un fenomeno – dice a Repubblica -. In campo, in quella mitica semifinale, io non guardavo la partita: guardavo lui. Era bellissimo vederlo giocare. Abbiamo anche parlato. Almeno, ci abbiamo provato: io gli ho detto: ‘Sei bravissimo’. Non so se avesse capito, ma rideva”.

“Era più brasiliano che tedesco”, disse di lui una volta Pelè. Un gran bel complimento, visto che i “brasiliani” da tutti sono considerati i maghi del pallone. E detto da Pelè…

Ma perché lo chiamarono Kaiser? Agosto 1971, il Bayern Monaco viene invitato a giocare un’amichevole dall’Austria Vienna. In giro come normali turisti i giocatori del Bayern visitano la capitale austriaca. Beckenbauer si ferma un bel po’ davanti a un busto dell’imperatore Francesco Giuseppe, qualcuno lo fotografa. Una rivista pubblica quello scatto curioso, titolando così: “Due imperatori si incontrano all’Hofburg”. Era nato il soprannome Der Kaiser.

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