Il Codice civile protegge i familiari stretti di un deceduto e, in particolare, il coniuge. L’articolo 540 disciplina i lasciti appannaggio di quest’ultimo citando a chiare lettere il diritto all’abitazione, ossia il diritto dell’ex coniuge di risiedere nella casa che è da considerare dimora familiare.
Un diritto che, almeno al momento in cui viene aperta la successione, non è alienabile né può essere ceduto a patto però che, al momento del decesso, la casa fosse di proprietà del defunto o in comunione legale. La comunione con terzi esclude il diritto all’abitazione, come ha sottolineato più volte la giurisprudenza, ovvero le sentenze emesse dai tribunali.
Il diritto di abitazione
Come detto, a una prima lettura, le cose sono semplici: il coniuge del defunto conserva il diritto di abitare la casa familiare. Di fatto, il legislatore ha introdotto norme per tutelare le persone che hanno un rapporto di parentela forte con il deceduto e, in quest’ottica, sono stati individuati i figli, il coniuge e – in assenza di figli – gli ascendenti (ossia le persone da cui il defunto discende, ovverosia i genitori, i nonni e i bisnonni).
Il diritto di abitazione è una norma di diritto reale tesa al godimento di un bene che fa gli interessi del coniuge del defunto e si limita alla casa usata come residenza familiare. Tale diritto include anche l’uso dei mobili, sempre che siano di proprietà del defunto oppure di proprietà comune tra i coniugi.
Di fatto, così come sancito dal Codice civile, il coniuge superstite è la persona con cui il defunto era legalmente sposato e che, in virtù di ciò, assume i diritti derivanti dal matrimonio, ovvero:
- l’eredità (in quota parte secondo le disposizioni di legge)
- la pensione di reversibilità
- il diritto di abitazione a vita nella residenza di famiglia.
Una lettura più approfondita, però, palesa la necessità di alcuni presupposti.
I presupposti del diritto di abitazione del coniuge
Il coniuge superstite ha il diritto di continuare a vivere nella casa familiare, potendo esercitare il pieno uso di tutti i mobili in questa presenti. Occorre però, come detto, che la casa non sia di proprietà anche di un terzo.
Per fare un esempio, con sentenza 15000/2021 la Cassazione ha specificato che il diritto di abitazione non è valido se la casa è in comproprietà del defunto e della sua precedente moglie. Occorre quindi valutare in denaro la quota parte legittimamente riconducibile al defunto. Ci sono anche altri casi di esclusione.
Esclusioni del diritto di abitazione
Il diritto di abitazione è, di fatto, un modo per impedire che il coniuge superstite perda anche l’abitazione di famiglia, ma ci sono ambiti in cui tale diritto viene meno. Si parla tipicamente di casi in cui:
- il coniuge superstite abbia interrotto la convivenza di sua spontanea volontà e abbia trasferito altrove la propria residenza
- l’immobile non è la prima casa.
Laddove applicabile, il diritto di abitazione non è cedibile a terzi.
I diritti del coniuge in assenza di altri eredi
Il diritto di abitazione non viene meno neppure in presenza di altri eredi. Ciò significa che, fino a quando sarà in vita, il coniuge potrà usufruire sia dell’abitazione sia di tutto ciò che si trova al suo interno. Ciò significa che i figli non hanno il diritto di abitazione. Inoltre, il titolare dell’abitazione è tenuto a versare i tributi relativi all’immobile a cui il diritto si applica.
La questione fiscale
Anche in presenza di altri eredi, è il coniuge superstite a doversi fare carico delle imposte relative all’immobile. La questione Imu è invece da relativizzare, giacché il diritto di abitazione può essere esercitato solo in relazione alla prima casa che, come tale, è esente dal versamento.