Lo scienziato in saio che vede il “dopodomani”

Lo scienziato in saio che vede il "dopodomani"

La prima volta che ha provato ChatGpt, una cosa che abbiamo fatto tutti, lui ha chiesto una barzelletta. Inventare una storiella che fa ridere non è banale: la macchina non può limitarsi a scrivere una parola dietro l’altra, deve pensare a una struttura sintattica complessa. E la risposta è molto indicativa.

Lui, uomo di mondo e uomo di Fede, ingegnere e teologo, studioso rigoroso e persona autoironica, è Paolo Benanti, frate francescano per il quale Tecnologia e Etica vanno a braccetto come «Pace e bene», fra i massimi esperti di Intelligenza artificiale e nominato due giorni fa dal Governo Presidente della «Commissione AI per l’informazione» dopo le polemiche dimissioni di Giuliano Amato.

Cinquant’anni, romano, figlio di un ingegnere e di una insegnante, adolescenza a Frascati, poi l’entrata nel Terzo ordine regolare di San Francesco, nel convento di Massa Martana, Perugia, dove trascorre il noviziato, e quindi il rito della vestizione nel 2001 e l’ordinazione a sacerdote nel 2009. Da allora insegna Etica alla Pontificia Università Gregoriana, è consigliere di Papa Francesco sui temi dell’Intelligenza artificiale, vive a Roma, ma trascorre più giorni in giro per il mondo che in Italia tra convegni, congressi e conferenze episcopali, da Cipro a Oslo, da New York a Oxford (ma anche dal Meeting di Rimini alla festa del Foglio) concentrandosi sulla gestione dell’innovazione: internet, la biosicurezza e le neurotecnologie.

Non è il caso di dispiegare il suo curriculum. Porterebbe via un terzo dello spazio. Sintetizziamo. Nel 2017 viene incluso nella Task Force Intelligenza Artificiale per coadiuvare l’Agenzia per l’Italia digitale. Nel 2018 è nel gruppo di trenta esperti creato dal Ministero dello sviluppo economico per elaborare la strategia nazionale sull’AI. E a ottobre l’ONU lo ha incluso tra i 39 esperti di vari Paesi nel mondo che hanno il compito di valutare i rischi e le opportunità dell’Intelligenza artificiale.

Cordone, sandali e chatbot. In pubblico parla sempre portando il saio.

Eppure un simile profilo, fra esperienze accademiche e pubblicazioni, non lo ha preservato dalle critiche per la nuova nomina (suggerita al sottosegretario all’Editoria Alberto Barachini da Alfredo Mantovano, così come quella di Amato, finita male, veniva da Gianni Letta). Sui social più d’uno ha contestato – e forse invidiato la scelta di padre Benanti. «Perché un prete?». Dimenticando che Niccolò Copernico era astronomo ma anche religioso. Che il grande matematico Luca Bartolomeo de Pacioli fu frate francescano. Che un pioniere della linguistica computazionale, al quale si deve uno contributo decisivo all’ipertesto, fu padre Roberto Busa, informatico e gesuita. E che il primo a formulare la teoria del Big Bang fu Georges Lemaître, un prete belga. Personalmente, poi, crediamo che proprio perché è una Repubblica laica che l’Italia può permettersi di nominare in una commissione governativa un religioso.

Vittima dell’odio social e forte della pazienza francescana, Paolo Benanti intelligenza duttile e nessun pregiudizio è abituato a lavorare con entità immateriali. Saprà districarsi anche dalle critiche e i labirinti della politica. Fede, speranza e cyber spirito.

Molto romano nel suo disincanto lucido che non sfocia mai nel cinismo, oltre che nell’inflessione dialettale, e molto francescano nel suo pragmatismo che gli permette di andare sempre all’essenza delle cose, oltre che nell’abbraccio del prossimo (in convento accudisce spesso i frati anziani), padre Benanti è uomo di Chiesa senza fronzoli ecclesialesi, e uomo di Scienza, senza derive apocalittiche né acritici entusiasmi. Sa vedere il bene nel male. E viceversa.

Collaboratore dell’Osservatore romano, efficace conferenziere anche via YouTube, vicino alla cyber teologia di padre Antonio Spadaro, intellettuale anomalo molto ancorato nella vita comune e in quella comunitaria, Paolo Benanti come dice chi lo conosce bene se ha una qualità è la chiarezza espositiva (ciò che gli preme di più è formalizzare una direzione di sviluppo dell’Intelligenza artificiale che tenga l’uomo al centro, non che lo sostituisca) e la capacità di essere sempre sul pezzo. «Sa cogliere quello che c’è dopodomani» dice un suo collega.

Formula preferita: «L’intelligenza artificiale sarebbe è più umana se sapesse dubitare». Domanda ricorrente: «Cosa vogliamo che accada ora che la macchina può surrogare la nostra mente?».

Nome Utente: Paolo Benanti. Password: LaudatoSieMiSignore.

A proposito, buon lavoro.

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