Avvertenza: Di seguito saranno elencate soltanto alcune delle non domande rivolte dal Fatto Quotidiano a Giuseppe Conte quando era premier. Per dare conto ai lettori di tutto il repertorio del giornalismo decisamente poco incalzante del quotidiano di Marco Travaglio nei confronti dell’avvocato di Volturara Appula non basterebbe un’intera edizione di questo Giornale. Eppure è necessario riannodare il filo della memoria di ciò che accadeva tra Palazzo Chigi e Il Fatto ai tempi del Conte gialloverde e di quello giallorosso. Lo impone un articolo pubblicato ieri dal suddetto giornale con richiamo in prima pagina. Questo è il titolo di prima: «Le non domande di molti cronisti auto-imbavagliati». Poi, a pagina 2: «Ossequi e domande a piacere: la questione morale dei giornalisti». In alto svetta l’occhiello: Bavagli (tutto in maiuscolo) e Stampa supina. I cronisti che hanno partecipato alla conferenza stampa di fine anno del premier Giorgia Meloni sono accusati di aver evitato questioni dirimenti come l’appartamento in cui vive Guido Crosetto e di aver sorvolato sul Mes. Bocciata la domanda del Giornale su Mario Draghi candidato presidente della Commissione Europea.
Decisamente più frizzante il comportamento del collega del Fatto alla conferenza di fine anno di Conte nel 2020. Il giornalista esordisce, quasi seccato, dal «continuo pressing» di «Matteo Renzi», che «minaccia di ritirare la fiducia a questo governo e di ritirare le proprie ministre». Poi sgancia una bomba che manco Bob Woodward del Washington Post ai tempi del Watergate: «Le volevo chiedere sei lei ritiene il voto un’opzione che è già in campo e se sì, sarebbe disponibile ad affrontarlo come leader di riferimento del M5s oppure anche come leader di una lista che magari porti proprio il suo nome». Conte, inspiegabilmente, non si scompone. Sfrutta l’assist per attaccare Renzi e cita Aldo Moro. D’altronde proprio Moro è il modello cui si ispira Conte. Lo rivela lo stesso attuale leader del M5s a luglio del 2018 in un’intervista realizzata a Palazzo Chigi con Travaglio. «Qual è il suo uomo politico di riferimento?», chiede con inusitata baldanza il direttore. «Aldo Moro», la risposta. Questa sì, coraggiosa. Ma proseguiamo con le conferenze stampa di fine anno. Tornando al 2020, sicuramente non mancavano gli spunti per incalzare Conte. Innanzitutto la gestione del Covid, tra mancate zone rosse, Dpcm e militari russi in Lombardia. Passiamo al 2019. L’anno del cambio di pelle: dal Conte gialloverde a quello giallorosso. La Lega in quei giorni di dicembre accoglie transfughi grillini. Il Fatto chiede al premier «se ritiene legittimo questo processo». Il cronista poi serve a Conte la palla perfetta: «Se un domani la Lega dovesse andare al governo in un’ottica di centrodestra sarebbe un problema per la stabilità democratica del paese?» Peccato, si poteva chiedere a Conte se avesse cambiato idea sull’immigrazione, dato che aveva firmato i decreti sicurezza di Salvini. Nel 2018 Il Fatto si concentra ancora sulla Lega: «Manterrete la promessa di fare quello che voi avete definito un provvedimento più manette agli evasori? La Lega ve lo consentirà?»
Sempre nella chiacchierata a Chigi del 2018 Travaglio si avventura: «Quanto lavora? Orari?». Due anni dopo, su Autostrade, il direttore in un’intervista sul Fatto pressa il premier con domande del tipo: «Si sente preso in giro dai Benetton?» Indimenticabili alcune prime pagine. Come una confezionata qualche giorno prima, il 21 luglio 2020. «Conte porta a casa 36 miliardi in più», il titolone. Sotto c’è una grande foto di Conte con mascherina sul volto e mega assegno in mano. Che coraggio.