Come fermare l’Iran? È il rompicapo su cui si interrogano gli Stati Uniti sin dall’inizio della crisi in Medio Oriente che ha mandato in frantumi il tentativo di riavvicinamento di Washington al regime degli ayatollah. La strage del 7 ottobre ha stravolto il fragile equilibrio diplomatico tra i due Paesi nemici riaccendendo i riflettori sui legami di Teheran con Hamas e gli altri suoi proxies in Libano, Siria, Iraq e Yemen. Organizzazioni che stanno seminando il caos con attacchi contro lo Stato ebraico e le truppe americane spingendo la Casa Bianca ad approntare piani per un’imminente espansione del conflitto a tutta la regione mediorientale.
In queste ore di alta tensione e a pochi giorni dagli attentati di Kerman per i quali, seppur rivendicati dall’Isis, l’Iran giura vendetta lanciando minacce ad Israele, il Wall Street Journal pubblica un intervento in cui il generale Usa in pensione Kenneth F. McKenzie Jr espone la strategia che, a suo dire, Joe Biden dovrebbe adottare nei confronti dell’Iran. “Il processo decisionale degli iraniani è razionale. I loro leader comprendono la minaccia della risposta violenta e della sua applicazione” scrive il militare, aggiungendo che Teheran può essere contenuta se l’America dimostra “la volontà e la capacità” di usare la forza quando necessario.
Quella di McKenzie è un’opinione che conta. È stato lui, infatti, in qualità di comandante del Central Command dal 2019 al 2022, a guidare l’attacco autorizzato dall’allora presidente Donald Trump che nel gennaio del 2020 ha eliminato a Baghdad il temuto generale dei pasdaran Qassem Soleimani. Proprio la “contenuta” risposta iraniana a quell’omicidio mirato, un lancio di missili contro la base Usa Al Asad in Iraq, avrebbe fatto comprendere a McKenzie come Teheran, ridimensionata dall’audace dimostrazione di forza del nemico, non avrebbe osato provocare ulteriormente Washington.
Per l’ex generale sono tre gli obiettivi strategici iraniani: preservare il regime teocratico, distruggere Israele ed espellere gli Stati Uniti dal Medio Oriente. Dopo l’omicidio di Soleimani l’agenda dell’Iran è stata affidata ai suoi proxies per evitare uno scontro diretto con il “Grande Satana” e gli americani non si sarebbero dimostrati all’altezza delle nuove sfide. McKenzie sostiene che il messaggio diffuso dall’amministrazione Biden incentrato “sull’evitare l’escalation come la nostra principale priorità è pericoloso per i nostri avversari e per i nostri partner”. La lezione imparata dall’ex comandante Usa è che la serie di attacchi da parte dell’Asse della resistenza, inclusi quelli degli Houthi che minacciano il principio della libera navigazione, può essere interrotta solo con un “veloce e violento contrattacco”.
I leader iraniani per McKenzie starebbero seguendo la celebre massima attribuita a Lenin: ”Procedi con la baionetta. Se non trovi resistenza avanzi, se trovi l’acciaio ti fermi”. Oggi quindi il regime degli ayatollah non starebbe tenendo a bada i suoi proxies perché incoraggiato dalla debole reazione americana incontrata sino ad ora. Una considerazione ancor più preoccupante in quanto, secondo l’ex generale, il vero rivale strategico degli Stati Uniti, la Cina, starebbe osservando con grande attenzione la risposta della superpotenza occidentale agli eventi in Medio Oriente traendone le conclusioni per possibili iniziative contro Taiwan.