La fuga da Belgorod, le proteste a Mosca

La fuga da Belgorod, le proteste a Mosca

Fuga da Belgorod. Non è il titolo di un film, piuttosto quello di una notizia che, fino a poco tempo fa, sarebbe parsa inverosimile: il governatore di una città russa ha offerto aiuto ai suoi abitanti che chiedono di trasferirsi in zone più sicure, abbandonare le loro case ormai sotto costante minaccia di attacco nemico.

Belgorod è una città della Russia meridionale, a 30 chilometri dal confine ucraino. All’inizio della guerra, ormai quasi due anni fa, i filmati delle lunghissime colonne di mezzi militari russi diretti a Sud per partecipare all’invasione dell’Ucraina mostravano spesso la segnaletica con il suo nome, perché da lì passava la strada principale. Ma i suoi abitanti non sapevano che sarebbero stati loro a pagare il prezzo della vendetta per le devastazioni e le stragi di civili inflitte ai loro vicini aggrediti. Belgorod era stata il bersaglio di attacchi sporadici tra il ’22 e il ’23, ma la svolta che ha indotto il governatore provinciale Viaceslav Gladkov ad aiutare gli abitanti del capoluogo ad andarsene c’è stata alla fine di dicembre.

È successo che la dirigenza ucraina, dopo un’ondata di bombardamenti russi di violenza senza precedenti contro obiettivi civili della capitale Kiev e di altre città, ha deciso che il tempo di restituire colpo su colpo era arrivato. Basta limitare la reazione alle brutalità nel timore di allarmare gli alleati occidentali sempre attenti a evitare le accuse russe di coinvolgimento diretto nel conflitto: a ogni attacco sulle città ucraine sarebbe seguita, nei limiti del possibile vista la disparità di forze, una risposta uguale e contraria con armi prodotte in patria. E così, alle stragi russe del 29 dicembre, l’Ucraina ha replicato il giorno dopo con un attacco pesantissimo su Belgorod, costato la vita a 25 civili. Da allora Belgorod è diventata bersaglio costante di quelli che a Mosca bollano come «attacchi terroristici», fingendo di ignorare che si tratta della restituzione della loro stessa moneta.

Strepiti, minacce e intensificazione degli attacchi russi (ieri sono morti sotto le bombe cinque bambini ucraini) non hanno cambiato la situazione: i missili continuano a piovere e il panico tra i residenti a crescere. Così, il governatore di Belgorod ha raccolto (parole sue) «gli appelli sui social media di persone che scrivono abbiamo paura, aiutateci a trasferirci in zone sicure», indicando che gli sfollati potranno risiedere lontano dal fronte «per tutto il tempo necessario», ma precisando anche che «non disponiamo di alloggi temporanei per tutti, perciò chiederemo ai governatori di altre regioni di aiutarci».

Ieri, dopo aver raccomandato ai concittadini di rinforzare le finestre di casa con nastro, il sindaco Valentin Demidov ha annunciato la cancellazione delle celebrazioni del Natale ortodosso a Belgorod. La guerra scatenata da Putin, insomma, è arrivata in casa dei russi e non sembra che si possa far molto per fermarla. Secondo l’intelligence di Londra, inoltre, entro la fine del 2024 le vittime russe in Ucraina avranno superato il mezzo milione, un dato drammatico che Putin ha tutto l’interesse a nascondere o a minimizzare, anche perché vedove e mogli degli uomini al fronte hanno sempre meno paura di protestare e ieri si sono fatte sentire perfino davanti al Cremlino. Un’altra via è cambiare strategia di guerra, e il futuro appartiene ai droni: sia Mosca che Kiev si affidano sempre più a quest’arma economica e mortifera. Entro il 2030, assicura il governo russo, ne produrremo 32mila l’anno. Chi spera in una prossima pace è avvisato, anche perché a Mosca confidano che Washington faticherà a mantenere gli attuali ritmi di forniture all’Ucraina di missili difensivi Patriot, come scrive il New York Times.

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