“Rivogliamo i nostri mariti”: la protesta delle donne russe contro Putin

"Rivogliamo i nostri mariti": la protesta delle donne russe al Cremlino

Rimaste nell’ombra e silenti, se non in rare occasioni, le mogli dei combattenti russi iniziano a farsi sentire. Una protesta dai contenuti e dalla partecipazione infinitesima che, tuttavia, getta il faro su figli e mariti che non sono ancora rientrati dall'”operazione speciale“.

La protesta di oggi a Mosca

Sono una quindicina le donne “armate” di sciarpe bianche, che hanno lasciato fiori rossi sulla tomba del Milite ignoto, nel pieno centro di Mosca, per “attirare l’attenzione delle autorità e del pubblico” sul loro appello. Rivogliono i loro uomini a casa. Ad oggi, tanti i tentativi esperiti da questo gruppo di vedove bianche: un appello scritto ai deputati, ai responsabili, alle amministrazioni, ma nessuno le ha mai ascoltate. Chiedono il ritorno dei loro compagni, 15 dei 244mila inviati in ucraina su un totale di 617 unità. Del resto, le loro rimostranze sono parte della ragione della “mobilitazione parziale” del settembre 2022: una mossa che permise a Vladimir Putin di soddisfare i desiderata dei “falchi”, che non avrebbero accettato una linea politica vocata all’archiviazione dell’impegno militare in Ucraina; dall’altro lato, una scelta soft per evitare una mobilitazione generale che avrebbe indispettito l’opinione pubblica.

Il picchetto fallito dello scorso ottobre

Si erano fatte sentire per la prima volta nell’ottobre scorso, quando avevano organizzato un picchetto per riportare a casa i loro mariti. La piccola manifestazione si era svolta nel centro della città, nella Piazza del Teatro, mentre, non molto lontano, si svolgevano le commemorazioni della Rivoluzione d’ottobre. A partecipare non furono solo donne, ma diversi parenti dei mobilitati: molti di loro avevano affermato di aver chiesto le autorizzazioni necessarie per una manifestazione pubblica, ma si erano visti respingere i permessi in base a presunte restrizioni Covid ancora in auge.

Così, a mogli, figlie e compagne non era rimasto che unirsi alle manifestazioni dei nostalgici che celebravano il 106esimo anniversario della Rivoluzione: il loro picchetto, tuttavia, era durato non più di cinque minuti. Il loro tentativo, tuttavia, era stato raccolto dal sito Important Stories. La piccola manifestazione era stata allora interrotta dall’arrivo della polizia, che aveva condotto le donne da parte: a loro non era rimasto che deporre dei fiori al Mausoleo e consegnare nelle mani delle autorità il loro appello.

Le proteste sui social

Le mogli dei mobilitati che scendono in strada, al di là del loro numero, sono un enorme pericolo per il Cremlino. Sono la prova provata di una guerra non richiesta e che si sta protraendo all’infinito. Per tante di loro che ricevono notizie con regolarità dai loro cari, ce ne sono tante altre a digiuno di informazioni, da poche settimane o perfino dall’inizio della guerra. I loro volti straziati sono la dimostrazione che le cose stanno andando male sul campo e che un risentimento strisciante inizia a caricare d’odio e disperazione i congiunti di chi è al fronte. Le mogli dei mobilitati organizzano sempre più spesso azioni di protesta sui social network, filmando anche videomessaggi di denuncia nei quali chiedono il ritorno a casa dei loro cari o, almeno, il miglioramento delle loro condizioni di servizio: equipaggiamento e alimentazione in primis.

A fine ottobre, aveva fatto scalpore un video girato dai parenti dei coscritti in quel di Vologda, nel quale si denunciava come gli uomini del 347° reggimento fossero stati inviati per un’offensiva in Donbass senza formazione nè attrezzature adatte: carne da cannone, insomma. Si tratta delle stesse donne che a maggio raccoglievano fondi per l’acquisto di SUV, mirini e droni. Molti di questi contenuti vengono veicolati su VKontakte (il Facebook russo): alcuni riescono a bucare la censura, altri vengono rimossi, ma restano nella cronologia delle notizie.

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