Quando all’interno di un nucleo familiare vi è un anziano, una persona che ha bisogno di assistenza o semplicemente si necessità di un supporto per le tante incombenze di casa, può accadere che, prima di rivolgersi a lavoratori e lavoratrici che operano in questo settore come colf e badanti, ci si rivolga ai parenti più o meno stretti per chiedere un semplice aiuto temporaneo o per instaurare un vero e proprio rapporto di lavoro.
In quest’ultimo caso, oltre alle valutazioni legate agli aspetti più propriamente affettivi, vanno analizzati numerosi aspetti di tipo economico oltre che normativi, perché non è così scontato instaurare rapporti lavorativi tra familiari.
La sentenza della Corte di cassazione n. 12433 del 16 giugno 2015, che rappresenta la giurisprudenza di riferimento su questo punto, ha affermato 2 principi generali:
- In linea generale le prestazioni di lavoro compiute da familiari e parenti sono svolte a titolo gratuito.
- La gratuità è dovuta al vincolo affettivo ed economico che lega le persone interessate.
Dunque in linea di massima non è possibile instaurare un rapporto di lavoro tra familiari ma non sempre è così, perché se sussistono specifici requisiti si può procedere con l’attivazione del rapporto.
Vediamo un po’ meglio.
Cosa è la presunzione di gratuità e quando è superata
Quando si parla di presunzione di gratuità del lavoro tra coniugi e conviventi more uxorio è necessario provare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a al contrario di quanto previsto dall’art. 2094 del codice civile in materia lavoristica.
Difatti, il codice civile, all’art. 143 indica tra i doveri dei coniugi anche la reciproca assistenza morale e materiale oltre alla collaborazione nell’interesse della famiglia. Questo assunto giuridico è dovuto al fatto che, in linea generale, tra coniugi e conviventi vi è un rapporto di tipo affettivo tale da non dover presupporre una retribuzione.
Tale principio è estendibile ai familiari e non riguarda solo la figura del caregiver ma anche ad ogni forma di supporto e collaborazione alla vita domestica. Quindi anche il figlio convivente che aiuta i genitori nella gestione della casa (di questo tema abbiamo parlato in un precedente articolo de IlGiornale.It) lo fa nel rispetto del principio della presunzione di gratuità.
Occorre provare in un tribunale che sussistono tutti i requisiti tipici di un rapporto di lavoro e, dunque:
- Una retribuzione ed un orario legato al CCNL di riferimento.
- lo svolgimento di specifiche funzioni definite dal CCNL di riferimento.
- una prova testimoniale accertata da sussistenza del vincolo di subordinazione.
Dimostrando questi presupposti è possibile superare la presunzione di gratuità delle prestazioni instaurando, dunque, un vero e proprio rapporto di lavoro.
Assunzione di un familiare entro il 3° di parentela
Laddove si proceda con l’attivazione di un contratto con i familiari, l’Inps non rifiuta il rapporto instaurato con i parenti sino al terzo grado ma effettua una verifica.
Nel messaggio n. 2819 del 14 luglio 2022, l’istituto comunica l’obbligo di compilazione di un modulo con cui il datore di lavoro (familiare) deve dichiarare se la persona con cui si attiva il rapporto lavorativo sia coniuge o parente entro il terzo grado e affini entro il secondo grado.
Per velocizzare la verifica dell’Inps è possibile inviare tramite pec o raccomandata la “Dichiarazione di responsabilità”.
Il legame di parentela è particolarmente importante nell’ambito della convivenza poiché cambia l’aliquota contributiva da applicare al rapporto domestico.