Brandy e cognac europei nel mirino della Cina. Pechino, come rappresaglia contro Parigi che aveva lanciato l’inchiesta europea sulle auto elettriche del Dragone, ha avviato un’indagine antidumping sulle importazioni sugli «spirits» del vecchio continente. Una misura che voleva colpire in particolare l’industria d’Oltralpe, ma che – come un’onda lunga – si è abbattuta su tutto il settore europeo, da Londra a Milano. La «vittima» italiana è Campari, tra i più grandi produttori mondiali di bevande, che ha perso ieri l’1% a 9,95 euro in Borsa dopo una seduta difficile con cali oltre il 2%. Ma non è andata meglio a Remy Cointreau (-12%), Pernod Ricard (-3,6%) e Diageo (-1,6%). Anche il colosso mondiale del lusso Lvmh, il cui marchio di cognac Hennessy rappresenta una parte marginale del suo fatturato, ha perso l’1,1%.
L’inchiesta cinese prende di mira il cognac, un distillato di vino bianco francese. Il dossier legale prevede due filoni: il primo per dumping riguarda il periodo ottobre 2022-30 settembre 2023; il secondo per «danni industriali» dal primo gennaio 2019 al 30 settembre 2023. Sotto esame «gli alcolici importati a base di vino distillato». Nel comunicato stampa del ministero del Commercio cinese si parla espressamente di «brandy ottenuto dalla distillazione di vino d’uva in contenitori di capacità inferiore a 200 litri». Quello del cognac è un mercato di nicchia sotto la Grande muraglia il liquore nettamente più diffuso nel paese è il tradizionale baijiu -, ma comunque rilevante per i produttori francesi come Pernod Ricard e Rémy Cointreau.
Queste misure «potrebbero dissuadere alcuni investitori a guardare di nuovo il settore», afferma Gilles Guibout, gestore di portafoglio di Axa Investment managers. La Francia è la più «esposta all’indagine sul brandy»: (le vendite cinesi di Pernod Ricard, sono il 10% del totale, di cui il 50% nel cognac.
Per Campari, Pechino vale meno dei cugini competitor: la Cina pesa solo l’1% del fatturato, 27 milioni di euro in un mercato, l’Asia Pacific, da 198 milioni di vendite, dominato dall’Australia. Tuttavia, in prospettiva i mercati orientali sono ritenuti un canale chiave di sviluppo. Come dimostrano l’accordo di collaborazione con Wuliangye, noto produttore cinese di Baiju e l’ultima maxi-acquisizione (la più grande nella storia di Campari, per 1,32 miliardi di dollari) del cognac Courvoisier. L’operazione fu definita strategica nell’immediato per l’area nordamericana, e in prospettiva anche per l’area del Pacifico, con la Cina, in part che oggi vale il 9% delle vendite del brand.
Ci vorranno giorni per capire il reale impatto dell’indagine. Come spiegano gli analisti di Jefferies, non è la prima volta che la Cina prende di mira l’industria dei liquori per ritorcersi sugli altri Paesi. Nel 2013 aveva avviato delle verifiche anti-dumping sulle importazioni di vini europei dopo che Bruxelles aveva imposto dazi sui pannelli solari cinesi; l’indagine è stata accantonata nel giro di un anno.
Di fatto, la ritorsione pare di poco conto se consideriamo che nei primi undici mesi del 2023 il Dragone ha importato brandy per un valore di 1,5 miliardi di dollari e, nello stesso periodo, però, ha esportato nell’Unione europea veicoli elettrici per 12,7 miliardi.