Quella memoria di Gramsci custodita dalla destra di governo

La grandezza morale di Gramsci non ne cancella il violento bolscevismo

Antonio Gramsci (nella foto) non se la passa benissimo a sinistra, dove sono in voga pensatori di un altro calibro, tipo Roberto Saviano, Michela Murgia o addirittura Walter Veltroni. La dittatura del proletariato è finita in cantina, ora «tira» la tirannia delle minoranze. La coscienza di classe ha lasciato il posto alla scienza dell’armocromista. I Quaderni dal carcere non sono più d’ispirazione, meglio lo stream of consciousness, anche detto supercazzola, di Elly Schlein secondo la quale il Partito democratica deve andare «verso un futuro che grazie anche alle nuove norme europee, sempre di più si investe e costruisca dei cicli positivi, diciamo, della circolarità uscendo dal modello lineare». Come fosse Antani. Capita così che Gramsci passi da sinistra a destra. Il pensatore sardo è stato il teorico della egemonia culturale. Per decenni, in effetti, è andata così. La sinistra prendeva il potere culturale e gli altri si facevano gli affari loro in silenzio. Da qualche tempo, diciamo da quando Giorgia Meloni è arrivata al governo, qualcosa è cambiato. La destra, suscitando irritazione, ha la pretesa di piazzare i propri uomini o di fare le proprie scelte, libera di sbagliare. Il sogno, per niente nascosto ed espresso in mille dibattiti, è instaurare la propria egemonia. Si chiama «gramscismo di destra». La sfida, per la destra, è orientare il dibattito senza soffocarlo, il pluralismo non è opzionale. Antonio Gramsci, dopo il carcere fascista, trascorse gli ultimi anni di vita rinchiuso in regime di libertà condizionata nella clinica Quisisana a Roma. Il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ha inviato una lettera ai vertici amministrativi della casa di cura Quisisana per chiedere che venga apposta una targa in ricordo della personalità di Antonio Gramsci, deceduto nella struttura il 27 aprile del 1937 dopo un ricovero doloroso.

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