La strategia del caos prende forma con la rivendicazione dell’Isis dell’attentato in Iran, che ha provocato 84 vittime e decine di feriti. L’annuncio su Telegram andrà verificato, ma se veramente i tagliagole dello Stato islamico hanno compiuto la strage di Kerman l’obiettivo è far sprofondare il Medio Oriente nel caos. Il complottismo islamico sostiene da sempre che l’Isis è una creatura degli Usa e di Israele. E durante la guerra civile in Siria gli israeliani hanno curato feriti e fornito armi leggere ai peggiori gruppi jihadisti sulle alture del Golan in funzione anti Assad.
Il regime iraniano, pur sospettando l’Isis per l’attentato, ha incolpato americani e israeliani. L’obiettivo degli strateghi del caos è provocare la rappresaglia iraniana contro Israele, che arriverà per l’uccisione in Siria di un generale dei Pasdaran. L’Isis punta ad un’escalation a livello regionale con il coinvolgimento già in atto degli Stati Uniti, che ieri hanno fatto fuori un comandante delle milizie filo ayatollah a Baghdad. L’obiettivo finale è che il Medio Oriente sprofondi nel caos per poter riemergere dalle ceneri della sconfitta del Califfato.
Non a caso lo Stato islamico ha scelto di attaccare la commemorazione del generale Qassem Soleimani, che grazie ad una tacita alleanza con gli Usa aveva contribuito a spazzare via lo Stato islamico dall’Iraq. Il doppio attacco di terroristi kamikaze, che a Kerman si sono fatti esplodere in mezzo alla folla, è uno dei classici modus operandi dell’Isis. Fonti dell’intelligence americana hanno puntato subito il dito contro l’Isis con il New York Times. Prima della rivendicazione, Abu Huthaifa al-Ansari, portavoce dello Stato islamico ha annunciato che «tutti i soldati e i sostenitori» dell’Isis nel «mondo si devono mobilitare per vendicare ovunque i musulmani tra cui il popolo palestinese» di Gaza «senza distinzione tra civili e militari». E criticato duramente l’alleanza tra gli ayatollah sciiti e le fazioni palestinesi sunnite, che combattono «una guerra per procura per l’Iran». La prima misura antiterrorismo, dopo il massacro, adottata dagli iraniani è stata la chiusura delle frontiere con l’Afghanistan e il Pakistan. Proprio dall’emirato talebano, ai ferri corti con Teheran, potrebbero essere arrivate le cellule di terroristi dello Stato islamico del Khorasan che attaccano sia il regime di Kabul che gli odiati sciiti iraniani. Nella provincia sud orientale del Baluchistan, dove vive una forte comunità sunnita, cova da tempo un movimento separatista e jihadista che può avere aiutato gli attentatori di Kerman. Dal 2017 l’Iran è stato colpito dal terrorismo dell’Isis. Dall’attacco al parlamento di Teheran e al mausoleo di Khomeini fino alle stragi in moschea a Shiraz o alle sparatorie alle parate dei Pasdaran. L’ultimo attentato è avvenuto sempre a Shiraz, lo scorso agosto. E in settembre le forze di sicurezza iraniane hanno arrestato 28 sospetti affiliati all’Isis accusati della preparazione di azioni dinamitarde nella capitale.
Il capo della diplomazia americana, Antony Blinken, sta tornando in Medio Oriente per gettare acqua sul fuoco dell’escalation che rischia di allargare il conflitto di Gaza al settimo fronte direttamente con l’Iran. In Israele non mancano ex premier e militari che parlano apertamente di uno scontro con Teheran per risolvere il problema alla radice eliminando una volta per tutte la minaccia del nucleare iraniano. Per assurdo i terroristi dell’Isis che ieri hanno ribadito «la guerra santa contro gli ebrei e crociati» vogliono lo stesso risultato da ottenere a suon di bombe secondo la strategia del caos.