Il tunisino jihadista da 23 anni in Italia. “Vado a Roma e faccio saltare tutto”

Il tunisino jihadista da 23 anni in Italia. "Vado a Roma e faccio saltare tutto"

Uno minacciava di far saltare in aria Roma, l’altro ha aggredito alcuni passanti con un Corano in mano. Via dall’Italia, con un decreto di espulsione in tasca, un tunisino di 38 anni e un egiziano di 33 anni mai integrati completamente e ritenuti una minaccia per il nostro Paese. Il primo, che risiedeva a Salsomaggiore Terme è stato caricato mercoledì sera a Genova su una nave diretta a Tunisi, come disposto dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, l’altro è stato accompagnato alla frontiera su disposizione del questore di Milano, Giuseppe Petronzi.

«Quello che sta accadendo in medio-oriente, è colpa dell’Italia e dei Paesi europei più in generale», diceva il tunisino, da 23 anni in Italia con regolare permesso di soggiorno, già condannato per maltrattamenti e violenza aggravata nei confronti della moglie. Più volte aveva manifestato l’intenzione di andare a Roma per far saltare tutto in aria, ma sui social veniva indicata anche Bologna come possibile obiettivo. I contenuti che pubblicava, citando l’organizzazione terroristica «Stato islamico» e inneggiando al Jihad, erano indicativi del suo orientamento religioso radicale. Israele veniva definito uno Stato «teppista» e l’Occidente indicato come bersaglio. È accusato di una «propensione verso posizioni religiose integraliste e oltranziste connotate da atteggiamenti di intolleranza verso le autorità italiane, da un forte risentimento antioccidentale e antisemita». Una visione estremista e violenta dell’Islam, la sua, che neppure si preoccupò di nascondere lo scorso 6 ottobre quando, dopo che gli era stata sospesa la patente di guida per possesso di stupefacenti, pronunciò davanti al funzionario della Prefettura frasi indicative della sua radicalizzazione: «Ci sono sette paesi che dovrebbero sparire dalla terra». Abbastanza per essere considerato una grave minaccia alla sicurezza dello Stato, potendo lui «agevolare in vario modo organizzazioni o attività terroristiche anche internazionali».

L’egiziano rimpatriato dalla questura di Milano, invece, si trovava a San Vittore dove era finito ad ottobre con l’accusa di lesioni con finalità di discriminazione razziale dopo aver aggredito alcune persone in viale Monza. Era passata una settimana dall’attacco di Hamas a Israele quando l’uomo, con indosso una tunica grigia e brandendo il Corano, si era scagliato senza motivo contro i passanti urlando «Allah è grande, oggi muoiono tutti, Allah Akbar». Bloccato dalla polizia, nella volante aveva continuato a gridare agli agenti in evidente stato di agitazione e colpendo con la testa il poggiatesta ed il plexiglass di separazione dell’abitacolo: «Siete miscredenti, ebrei, dovete rendere conto a Dio». In ospedale, al termine di consulto psichiatrico, gli era stato riscontrato «un monotematico orientamento di ostilità verso l’Occidente».

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