Da Damasco a Kerman: azioni contro la “Resistenza”

Da Damasco a Kerman: azioni contro la "Resistenza"

C’è una linea nemmeno troppo sottile che collega le ultime operazioni condotte da Israele fuori dai propri confini. Due omicidi mirati, prima in Siria e poi Libano, che a loro volta si collegano in qualche modo con la strage in Iran e il bombardamento a Bagdad. Non è complicato capire che unendo questi eventi, seppur la regia di Israele sia di fatto accertata solo in due di questi, si capisca che la lotta non è soltanto contro Hamas ma anche con quel nuovo «asse del male» con l’Iran capofila e composto da Stati e gruppi sparsi.

A Damasco la prima esecuzione, vittima Sayed Moussawi, il comandante dei pasdaran iraniani in Siria, colui che, tra le altre cose, gestiva il traffico di armi e rifornimenti ai nemici di Israele, tra cui le milizie di Hezbollah. Poi l’altro giorno Il raid alla periferia di Beirut, in Libano, per eliminare Saleh al Arouri, il vice capo di Hamas e tra i fondatori delle Brigate al Qassam, responsabili dell’attacco del 7 ottobre. Non solo, al Arouri era colui che teneva i rapporti con Hezbollah in Libano e da, quanto si è appreso, era il principale interlocutore del leader Nasrallah, la cui posizione potrà risultare decisiva per un eventuale ampliamento del conflitto. Un messaggio e una vendetta, perché non è passato inosservato che la mattina del 7 ottobre, subito dopo le prime notizie della mattanza compiuta da Hamas, al Arouri si trovasse a Doha, in Qatar, insieme al numero uno dell’organizzazione Ismail Haniyeh, con il quale pregò ringraziando i miliziani per quanto fatto.

Di contorno, ma non troppo, quanto accaduto a Bagdad e Teheran. In Irak un’incursione aerea americana ha causato diverse vittime tra quelle milizie irachene vicine lla jihad islamica pronte a scendere in campo sia in Libano che in Siria contro Israele. In Iran invece la strage di Kerman potrebbe essere di matrice jihadista, con Israele e gli Usa che hanno subito preso le distanze nonostante le accuse del regime iraniano. Strategia del caos e della provocazione, per aggiungere confusione alla tensione e causare magari una reazione, quanto più possibile scomposta, che porti a una nuova escalation.

Quanto sta accadendo potrebbe infatti avere due diverse conseguenze nel breve-medio termine. La prima vede Israele e Stati Uniti compatti nell’eliminare quante più minacce possibili e, di fatto, «vincere» la partita. La seconda e più temuta, una crescita ulteriore del conflitto con Israele schiacciato tra Iran, Siria, Libano e gruppi jihadisti sparsi a supporto di Hamas nella lotta allo Stato ebraico. Quell’escalation tanto profetizzata che spaventa non solo Israele ma il mondo intero.

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