Bill Ackman, cinquantotto anni, nel 2004 ha fondato e dirige Pershing Square Capital Management, un’importante società di gestione di hedge fund. Nel giugno 2023 il suo patrimonio netto è stato stimato da Forbes a 3,5 miliardi di dollari. Nel corso degli anni il suo tipo di approccio agli affari lo ha reso noto, negli Stati Uniti, come un “investitore attivista”, uno che non si limita a fare il proprio lavoro (far fare soldi agli investitori) ma vuol dire la sua e far pesare le proprie idee. Di recente è balzato alle cronache per aver dato una spallata contro Claudine Gay, la presidente di Harvard dimessasi dopo essere finita al centro di una bufera mediatica per antisemitismo e plagio. Ackman, di origine ebraica ashkenazita, non aveva mandato giù la mancata condanna dell’ateneo dopo l’attacco di Hamas a Israele dello scorso 7 ottobre. Sicuramente la minaccia di tagliare i fondi ad Harvard, fatta dal finanziere (che dona centinaia di milioni ogni anno) ha convinto il board dell’università a far dimettere Gay. Anche se hanno pesato (non poco) le accuse di aver copiato parti scritte da altri, nei suoi testi, senza citare le fonti.
Ora si apre un nuovo fronte. Con un lungo post (quattromila parole) pubblicato su X (l’ex Twitter) Ackman afferma che l’antisemitismo riscontrato ad Harvard è “solo il canarino nella miniera”, puntando il dito contro quelle politiche a favore della diversità, dell‘equità e dell’inclusione (Dei, ndr) che, a suo dire, al di là delle buone intenzioni non sarebbero positive ma solo espressione di “un movimento di militanza per conto di certi gruppi” (minoritari), finendo col generare una sorta di razzismo al contrario. Tutto questo limitando, di fatto, la libertà di parola.
“In base alla Dei – afferma Ackman nel suo post – il livello di oppressione subito da una persona risiede in una piramide ai cui vertici, in qualità di oppressori, sono i bianchi, gli ebrei e gli asiatici, mentre persone di colore, Lgbtq e/o donne sono gli oppressi”. E ancora: “Dei è razzista perché il razzismo alla rovescia è razzismo. Puoi dire qualunque cosa sui bianchi nelle università oggi, ma se cambi la parola bianco in nero, le conseguenze sarebbero gravissime”.
Fatta pulizia (diciamo così) ad Harvard con le dimissioni della Gay, ora Ackman dice che “c’è molto lavoro da fare, rimbocchiamoci le maniche”. Non è il primo, Ackman, a voler condizionare la politica muovendo le sue potenti leve economiche. Lo hanno fatto tanti prima di lui, e stanno continuando a farlo. Tra questi Elon Musk, che visitando per affari il Vecchio Continente ha dispensato critiche (in parte condivisibili) sui sistemi troppo vecchi e farraginosi dell’Europa, oltre che i livelli di natalità troppo bassi. E lo stesso condizionamento lo ha esercitato (ed esercita) un altro super miliarario, Marc Zuckerberg, fondatore di Facebook. In una sorta di lettera-manifesto pubblicato nel febbraio 2017 parlò della necessità di costruire una comunità globale, in grado di potenziare i benefici dell’economia digitale senza però ignorare i problemi del mondo, dal terrorismo al cambiamento climatico (con tutte le ripercussioni politiche del caso).
Zuckerberg non ha mai fatto endorsement, finanziando candidati a destra come a sinistra. Ha dichiarato di aver votato una volta sola, nel 2008, e si è esposto pubblicamente schierandosi contro le misure protezionistiche e le restrizione degli ingressi (muslism ban), volute da Trump. Ma in molti hanno visto il suo impero social tra i “motori” del successo del tycoon e persino della vittoria della Brexit nel Regno Unito, sulla carta due linee politiche assai distanti dalla globalizzazione propugnata da Zuckerberg.