Era da tempo sulla lista nera di Israele. L’intelligence di Tel Aviv lo aveva messo nel mirino, insieme a tutti gli altri militanti di Hamas nascosti all’estero. Quando un drone, nel tardo pomeriggio del 2 gennaio, ha attaccato la periferia meridionale di Dahiyeh, una roccaforte di Hezbollah, a Beirut, in Libano, tra le sei persone rimaste uccise c’era anche lui: Saleh al-Arouri, alto funzionario di Hamas, considerato il numero due dell’organizzazione filo palestinese.
L’uccisione di Saleh al-Arouri
L’obiettivo è stato scelto con cura, visto che Arouri era l’anello di congiunzione tra la citata Hamas, l’Iran ed Hezbollah. L’uomo aveva una certa influenza anche in Cisgiordania, dove è nato e dove la violenza è aumentata vertiginosamente negli ultimi mesi. C’è chi, nel governo israeliano, riteneva che il 57enne potesse addirittura sapere in anticipo del piano dell’assalto del 7 ottobre.
Ma la conferma della rilevanza della figura di Arouri stava nella taglia da 10 milioni di dollari che gli Stati Uniti avevano messo sulla sua testa. Gli Usa lo avevano etichettato come un “terrorista globale” nel 2015 emettendo una ricompensa di 5 milioni di dollari in cambio di qualsiasi informazione su di lui, poi raddoppiata.
Descritto come una sorta di trait d’union tra il ramo militare di Hamas e il volto più presentabile dell’organizzazione, Arouri, 57 anni, era tra le principali figure dell’ufficio politico dell’organizzazione. Nello specifico, era il vice capo dell’ufficio politico del gruppo filo palestinese, nonché uno dei fondatori dell’ala armata del gruppo, le Brigate Qassam. Viveva in esilio in Libano dopo aver trascorso 15 anni in una prigione israeliana. Prima dell’inizio della guerra, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva minacciato di ucciderlo.
L’uomo chiave di Hamas
Arouri contava sulla protezione di Hezbollah e pensava di essere al sicuro. Nelle ultime settimane aveva assunto il ruolo di portavoce di Hamas rilasciando interviste e dettando condizioni per il rilascio dei prigionieri che il gruppo trattiene ancora nella Striscia di Gaza. Per quanto riguarda la sua biografia, è stato coinvolto nell’attivismo islamico quando era studente all’università di Hebron a metà degli anni ’80. Si è unito ad Hamas subito dopo la sua fondazione, in seguito alla prima Intifada, contribuendo a creare l’ala militare di Hamas, le brigate Izz al-Din al-Qassem.
Incarcerato da Israele nel 1992, come ha evidenziato il Guardian, Arouri ha trascorso quasi tutti i successivi 18 anni in prigione. Nel 2010, ha contribuito a negoziare il rilascio da parte di Israele di oltre 1.000 prigionieri palestinesi in cambio di un soldato israeliano. Con sede prima in Siria, poi in Qatar e infine in Libano, l’uomo si era quindi costruito la reputazione di operatore astuto con contatti in tutto il Medio Oriente, ma in particolare con l’Iran.
Già membro del potente “politburo” di Hamas, Arouri era stato eletto vice di Ismail Haniyeh, leader dell’organizzazione, nel 2017. Da allora era diventato un emissario di alto profilo del gruppo, coinvolto in quasi tutte le principali decisioni politiche e un portavoce chiave. Poco dopo gli attacchi del 7 ottobre, Arouri aveva incontrato Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, per discutere le strategie su come ottenere “una vera vittoria nella guerra con Israele”.
Il negoziatore
Pare inoltre che Arouri abbia avuto un ruolo chiave nei colloqui mediati dal Qatar, che hanno portato al rilascio di alcuni dei 240 ostaggi presi da Hamas. Esperti in Israele hanno affermato che il negoziatore veterano fosse responsabile della stesura degli elenchi di coloro che sarebbero stati rilasciati da entrambe le parti.
Sebbene non vi sia stata alcuna risposta ufficiale da parte di Israele sulla morte del funzionario di Hamas, Mark Regev, consigliere di Netanyahu, ha dichiarato all’organo di stampa statunitense MSNBC che Israele non si assume la responsabilità di questo attacco. Ma, ha aggiunto, “chiunque sia stato, deve essere chiaro: questo non è stato un attacco allo Stato libanese”. Il primo ministro ad interim del Libano, Najib Mikati, ha condannato l’attacco al sobborgo di Beruit e ha affermato che si tratta di un “nuovo crimine israeliano“, nonché di un tentativo di trascinare il Libano nella guerra.