Il 2024 appena iniziato è foriero di molte novità sul fronte previdenziale, tutte collegate – direttamente o indirettamente – alla legge di Bilancio. La riforma caposaldo del centrodestra, il ritorno vero e proprio al pensionamento di anzianità con Quota 41, ancora non è stata varata. Ma si può dire che il cammino sia preparato in quanto le innovazioni si ispirano al medesimo principio: chi vuole uscire prima del pensionamento di vecchiaia deve rinunciare alla piena valorizzazione di quanto ottenuto col vecchio metodo retributivo, aderendo al contributivo puro.
Vediamo ora che cosa cambierà nell’anno in corso, partendo dall’aspetto più piacevole: la rivalutazione degli assegni. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, di concerto con la ministra del Lavoro, Marina Calderone, ha disposto a partire dal primo gennaio 2024 un adeguamento all’inflazione pari al +5,4% delle pensioni. I trattamenti fino a 4 volte il minimo, (massimi 2.272,76 euro lordi mensili) sono stati rivalutati del 100%; quelli da 4 a 5 volte il minimo, (massimi 2.839,70 euro) dell’85%. Da 6 a 8 volte il minimo (4.543,32 euro massimi) guadagnano il 47% dell’indicizzazione, mentre da 8 a 10 volte (5.679,40 euro) il recupero è del 37%, mentre oltre 10 volte il minimo la rivalutazione è del 22 per cento.
Per quanto riguarda le possibilità di uscita anticipata, la legge di Bilancio ha confermato Quota 103 (62 anni di età e 41 di contribuzione), ma con alcuni paletti. Innanzitutto, è stato fissato un tetto all’importo della stessa pensione, pari a 4 volte il minimo (2.272,76 euro lordi al mese), fino al raggiungimento dei normali requisiti di pensionamento. L’assegno sarà interamente calcolato col metodo «contributivo» e non più col misto che salvaguardava la parte retributiva fino al 31 dicembre 1995. Modificate anche le «finestre», cioè il periodo di attesa tra uscita dal lavoro ed erogazione dell’assegno. La decorrenza del trattamento partirà dopo 7 mesi per i lavoratori privati (3 mesi fino al 2023) e dopo 9 per i pubblici (6 mesi fino al 2023).
Confermati anche l’Ape social e Opzione Donna, ma con alcuni cambiamenti. Per il pensionamento anticipato sale il requisito di età da 63 anni a 63 anni e 5 mesi. Questa formula è rivolta a disoccupati (con almeno 18 mesi lavorati nell’ultimo triennio), a coloro che assistono familiari disabili e a persone con invalidità pari almeno al 74%. Queste categorie possono ritirarsi con un’anzianità contributiva di 30 anni. Chi svolge lavori gravosi (operai edili, autisti di mezzi pesanti, badanti, infermiere ospedaliere, maestre d’asilo, macchinisti, addetti alle pulizie) deve invece avere accumulato 36 anni di contribuzione. L’assegno dell’Ape social non può superare l’importo massimo di 1.500 euro lordi mensili e non prevede tredicesima fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia a 67 anni. Esso non è cumulabile con redditi di lavoro dipendente o autonomo. Si può svolgere invece un lavoro occasionale entro un massimo di 5mila euro annui.
Per Opzione Donna l’età minima sale da 60 a 61 anni (richiesti 35 anni di contributi), con uno sconto di un anno per figlio fino a un massimo di due. Nel 2024 potranno accedervi solo licenziate o dipendenti di aziende in stato di crisi, chi ha il 74% di invalidità e le caregiver (richiesta attestazione di assistenza da almeno 6 mesi). Per le lavoratrici dipendenti il posticipo dalla data di maturazione dei requisiti è di almeno 12 mesi (18 mesi per le autonome).
Ripristinata, infine, la pace contributiva. Chi ha iniziato a lavorare dal 1996 può riscattare fino a cinque anni di contributi mancanti dilazionandoli in dieci anni senza interessi. Le quote versate sono detraibili al 50% in cinque quote annuali di pari importo.